Si è conclusa ieri, in un’ uggiosa domenica di fine novembre , che, a buon ragione, vedeva ancora affollato il botteghino del Ghione di Roma, la fortunata settimana di ‘ Uno sguardo dal ponte’ di Arthur Miller, pièce scritta dal drammaturgo statunitense nel 1955.
In maniera ordinata il regista Enrico Lamanna – come uno spettatore attento si aspetterebbe da un’ opera complessa e raffinata – ripercorre “l’intrecciosa” trama dalle molteplici sfaccettature che ruotano attorno ai desideri, alle illusioni e ai sogni di ognuno di noi nel corso della vita. Sebbene l’ambientazione è storica: il dopoguerra, l’emigrazioni oltreoceano e la New York dalle mille opportunità, fondamentalmente l’autore, con consapevolezza o meno, ripropone i temi tradizionali della spinta verso una maggiore felicità, dell’amore, della giustizia e perfino della ricerca e risposta filosofica, che ritroviamo nell’occidente fin dal mondo classico e ancor prima in oriente.
Per esempio, agli albori, anche gli Ari emigrarono e poi emigrarono, fino a stanziarsi finalmente nella Valle dell’Indo, tra l’altro portando nuova cultura e Conoscenza come gli Inni Vedici, la più antica opera filosofica religiosa di cui si sappia.
E ancora, Socrate fu il primo a coniare la Psiche, a indicare la strada maestra verso la sua “prosperità”, a differenza delle idee materialiste meccanicistiche e dei suoi nuovi “ideali” tanto ora in voga come : “sostituisco il buon senso, il rispetto di me e la gioia nel creare, con una ‘trendy’ mancanza di considerazione dei sacri valori di interagire piacevolmente con il nostro prossimo o ancor peggio, di maltrattarlo come ultimo sforzo di conviverci in qualche maniera… .
C’è un nodo centrale che Miller delega all’investigazione filosofica:
come si ripara un torto grave sulla dignità o sugli affetti…?
Il saggio avvocato suggerisce al protagonista che Dio provvederà spontaneamente, come una sorta di nemesi che prevede la Natura nel suo disegno basilare .
Ma a mio avviso, andrebbe sottolineato anche un altro aspetto altrettanto chiave:
“quando si iniziano a perdere i propri desideri, illusioni e sogni?… “.
Sembra che la signora dietro la mia poltrona, in qualche modo, sia stata la voce dell’oracolo di Delfi, con la sua reazione immediata all’accoltellamento a tradimento ai danni del protagonista, ravveduto e contrito, proprio nel momento della sua possibilità di riscatto :
” ha rovinato tutto ! ” ha esclamato, come se sapesse, innatamente, che una cattiva azione apre la porta alla perdizione di sé stessi e delle proprie migliori speranze.
La rappresentazione, coraggiosamente portata in scena, ha ben funzionato nel suo complesso, colpendo alla fine nel segno, con meritato plauso a tutti gli attori, come Sara Ricci, che nelle vesti della moglie, con abilità, a tenuto testa alla centralità del protagonista o Cecilia Guzzardi, che ha ben interpretato la freschezza e vivacità della giovane nipote, motivo della contesa immaginata per questo racconto.
Il protagonista Eddie Carbone, a mio parere, è magistralmente “portato a vivere” dal suo interprete, ovvero: dall’immaginazione trasportata con l’inchiostro all’ animazione operata da uno straordinario Sebastiano Somma, capace in modo naturale, di quel realismo interpretativo che ha fatto grandi i suoi maestri ispiratori italiani, da Rossellini a De Santis. Proprio recentemente, un altro maestro “superstite” , tanto americano quant’ è italiano lo spirito che scorre nelle sue vene, si è cimentato, controcorrente , in un capolavoro narrativo, recitativo e registico, smarcandosi dai diktat di ciò che è “trendy” e dai fumetti cinematografici, tanto da far rimettere in gioco – per mero amore dell’arte dell’interpretazione – gente già da molto tempo nell’olimpo, come De Niro e Al Pacino.
Forse è un buon momento per poter arricchire dell’essenziali doti dell’artista di Castellammare, anche le pellicole d’autore nei nostri cari cinema italiani ….
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