È trascorso quasi un mese dal terribile incendio che nella notte di lunedì 14 ottobre ha devastato vaste zone della “giungla” – così è chiamata l’area limitrofa all’hotspot di Samos – e del campo dei rifugiati. Più di 200 tende hanno preso fuoco in pochi minuti e molte persone, si stima 700, in un attimo hanno perso tutto. Qui il ricordo di quella tremenda e lunga notte è ancora vivo.
Per due notti le ONG presenti a Vathy hanno messo a disposizione i loro spazi con lo scopo di offrire riparo a donne e bambini. Molti uomini sono stati però costretti a pernottare all’aperto: sulle panchine del lungomare, al porto, o cercando ripari fortuiti avvolti da coperte isotermiche.
Al termine delle prime due notti le ONG presenti sull’isola hanno deciso di condividere un documento, l’ennesimo, in cui vengono denunciate le disumane condizioni alla radice di questo disastro. L’imminente arrivo dell’inverno, con piogge e forti venti, soprattutto dopo questo devastante incendio, è diventato ora ulteriore fonte di timore e preoccupazione.
Nei giorni successivi al disastro, e nell’attesa di conoscere le decisioni da parte delle autorità del campo, si sono susseguite proteste e dimostrazioni. Soprattutto all’interno del campo stesso, dove la comunità africana e una parte di quella afgana hanno manifestato in diverso modo il proprio dissenso rispetto alle precarie condizioni di vita in cui vivono da troppo tempo. Tali proteste – come riportato da organizzazioni che lavorano sul campo – si sono concluse solo… Continua su vociglobali