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Oggi la Spagna torna al voto. Il quarto, in quattro anni. Tante le incognite soprattutto a sinistra

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Oggi la Spagna torna al voto per la quarta volta in quattro anni, la seconda in sette mesi. La grande incognita sarà l’astensione, soprattutto a sinistra. Dopo il fallimento nella formazione del governo, la grande mobilitazione dello scorso maggio non si ripeterà. Fra gli elettori di sinistra, che ad aprile avevano espresso un chiaro mandato per un governo delle sinistre, regnano sfiducia e delusione. La scelta del segretario socialista Pedro Sánchez di puntare su un governo monocolore, preferendo tornare alle urne pur di non fare una coalizione con Unidas Podemos (Up), ha contraddetto quanto detto allora in campagna elettorale, deludendo molti. La richiesta del voto per posta, considerato un affidabile indicatore della mobilitazione dell’elettorato, è crollata di circa il 30%. Un dato che rende incerte anche le inchieste elettorali sulle quali l’affluenza influisce molto. Inchieste che, comunque, concordano, tranne quella del Cis – Centro de Investigaciones Sociológicas, nel delineare uno scenario molto diverso da quello sperato da Sánchez e dal suo consigliere politico Ivan Redondo.

Il Psoe non migliorerebbe le sue posizioni, perdendo forse anzi qualche seggio, pur restando primo partito. Pablo Casado, che sembrava destinato a una rapida uscita di scena, riuscirebbe invece ad arrestare il declino del Partido popular, consolidato come secondo partito. A pagare il prezzo più alto alla ripetizione elettorale dovrebbe essere Ciudadanos, il partito di Albert Rivera, che crollerebbe dimezzando i suoi deputati e restituendo voti a Psoe e Pp e dandone al Vox che, al contrario risulterebbe la maggior beneficiaria del ritorno alle urne. L’ultra destra filofranchista, machista e trumpiana potrebbe raddoppiare consensi e seggi, superando C’s e portandosi a ridosso di UP, tanto da vedere la possibilità di scavalcarla, in numero di eletti se non come voti assoluti. UP, il partito che per primo infranse il bipartitismo spagnolo, pur continuando a scendere frenerebbe l’emorragia, recuperando voti che alle ultime elezioni erano andati, o tornati, al Psoe. Pablo Iglesias, dovrà vedersela anche con un concorrente diretto, Más País, nuova formazione dell’ex fondatore di Podemos, Íñigo Errejón.

Uno scenario che, se confermato, riproporrebbe lo stallo che ha riportato al voto. E, paradossalmente per Sánchez, diminuirebbe le alternative alla coalizione con UP – a meno che si manifesti un impossibile accordo col PP – venendo a mancare la stampella di un appoggio esterno da parte di C’s, i cui voti non sarebbero più sufficienti.

Un ritorno alle urne che non è, quindi, a costo zero, per il Psoe e per la democrazia spagnola. Come dicevamo i sondaggi concordano, con l’unica significativa eccezione del Cis, il centro pubblico di rilevazione, che dà più voti e seggi al Psoe. La ricerca del Cis ha un panel molto più alto che dovrebbe garantire maggiore approssimazione ai risultati ma richiede anche tempi di elaborazione più lunghi. In questo caso resta fuori l’evoluzione degli umori delle ultime tre settimane, le proteste per la sentenza agli indipendentisti catalani, le violenze dei manifestanti e quelle della polizia. E gli ultimi giorni di una campagna nervosa, frenetica e con qualche infortunio per Sánchez. Il segretario socialista ha voluto chiuderla a Barcellona, la prima volta per un candidato premier. Vuole dare il segno che lui sta nel cuore del problema, la crisi catalana, e motivare l’elettorato socialista. Chiede «un governo progressista contro le destre e uno moderato contro l’indipendentismo», si pone al centro del quadro politico, inneggia al Psoe come forza di sinistra ma si presenta come uomo d’ordine. Sa bene che il principale avversario, per come sono andate le cose, è ora l’astensione. Sapremo presto se anche questa volta il richiamo alle urne ha funzionato.


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