Nascerà il primo governo di coalizione della Spagna delle Autonomie. Ma per fare cosa?

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Il voto non è andato bene per Pedro Sánchez. Il Psoe resta primo partito ma perde seggi mentre l’estrema destra di Vox irrompe al terzo posto, il Partido popular frena l’emorragia, Ciudadanos quasi scompare e Unidas Podemos, viene sorpassato dall’ultra destra ma regge la scissione e sembra frenare la discesa. La scelta di tornare alle urne non ha premiato il Psoe. 

Nulla è andato come il segretario e il suo consigliere politico, Ivan Redondo, avevano ipotizzato. I 140 deputati erano un sogno. L’impatto della sentenza agli indipendentisti catalani, delle proteste, delle violenze dei manifestanti e di quelle delle forze dell’ordine, non era stato neanche immaginato. Come sottovalutata era la delusione degli elettori di sinistra verso chi portava la responsabilità di non aver formato il governo dopo le elezioni dello scorso aprile. Il segretario socialista ha quindi fatto uno scatto in avanti e, sorprendendo tutti, a neanche 48 ore dal voto, si è presentato davanti alle telecamere con Pablo Iglesias, per annunciare e firmare solennemente un pre accordo per la formazione di un «Governo progressista di coalizione», con un abbraccio tra i due a sancire il superamento di ogni precedente ostilità. Tra gli obiettivi dell’esecutivo, in prima linea la questione catalana. «Garantire la convivenza in Catalogna» e promuovere la «normalizzazione del confronto politico, attraverso il dialogo, sempre dentro la Costituzione». E posizionare la Spagna come «Riferimento nella protezione dei diritti sociali in Europa, così come la cittadinanza ha deciso nelle urne».

Vediamo dunque i risultati, che hanno portato Sánchez davanti a un bivio, riprendere il confronto per governo delle sinistre o finire nel pericoloso abbraccio di Pablo Casado, nella costruzione di una politica di “concertazione nazionale” coi popolari.

Il Psoe resta primo partito ma perde tre seggi rispetto al 28 aprile scorso e scende a 120. Cresce il Partido popular (Pp), da 66 a 87 seggi, consolidandosi in seconda posizione. Crolla Ciudadanos (C’s), che passa da 57 a dieci deputati. Perde 7 seggi Unidas Podemos (Up) che si ferma a 35 e ne ottiene solo 3 la nuova formazione Más País (Mp), nata da una scissione di Podemos. Vincitrice “morale” del voto è l’estrema destra di Vox che raddoppia i deputati passando da 24 a 52. Sul fronte catalano, Esquerra republicana de Catalunya (Erc) perde 2 seggi e si ferma a 13, mentre Junts pel Cat (JxC) ne guadagna uno salendo a 8 e 2 vanno alla Candidatura d’Unitat popular (Cup), formazione indipendentista catalana di estrema sinistra (e En Comú Podem, della sindaca di Barcellona Ada Colau, mantiene i 7 deputati nelle file di Up). Guadagnano un seggio sia il Partido nacionalista vasco (Pnv), 7, che la formazione della sinistra nazionalista basca, Bildu, che ne prende 5.

L’annuncio di Sánchez e Iglesias indica un cammino ma la strada è ancora lunga e difficile. Il segretario socialista vorrebbe fare a meno del voto di Erc, eventualmente in forma di astensione, o almeno non dipenderne e per questo sonda quel che resta di C’s, ricevendo per ora un no. Serviranno anche, ma sono quelli più sicuri, i voti dei baschi e di altri deputati di diverse formazioni (son salite a 18 le liste rappresentate alla Camera). Se il puzzle di voti a favore e astensioni amichevoli si compie, l’obiettivo della maggioranza semplice in seconda votazione è a portata di mano. Nascerà il primo governo di coalizione della Spagna delle Autonomie. Ma per fare cosa?

I due leader assicurano che lavorano a un «progetto per l’intera legislatura». Il primo impegno sarà certamente quello di costruire una legge finanziaria, dopo due ani di rinnovo in deroga da parte di governi di minoranza facenti funzione. Lì si misureranno gli spazi di manovra per politiche anti-cicliche e i primi passi per la costruzione di un dialogo con la Catalogna. E con le altre Comunità autonome che compongono la Spagna delle Autonomie, alcune delle quali, governate anche dai socialisti, hanno questioni aperte con Madrid. Questo primo passaggio per quanto delicato dovrebbe più facilmente trovare i consensi, anche perché necessario per tutta la penisola. Poi cominceranno le note dolenti. 

Perché il ritorno alle urne ha avuto un costo, per il Psoe e per la democrazia spagnola. Se per affrontare la questione catalana si intende pensare un percorso di riforme, la perdita della maggioranza assoluta che il Psoe aveva al Senato, snodo di ogni iniziativa riformatrice, rende tutto più difficile. E anche la normale navigazione parlamentare non sarà semplice. Coi suoi 57 deputati, Vox ha i numeri per portare le proposte di legge davanti al Tribunale Costituzionale per via parlamentare.

Se partirà, il governo di coalizione avrà davanti a sé un cammino difficile, a partire dalla ricerca della sintesi all’interno della maggioranza. Si dibatterà adesso delle responsabilità del non aver tentato più seriamente di fare lo stesso dopo il voto di aprile. E forse non sapremo mai se questo secondo passaggio sia stato indispensabile per arrivare a questo risultato. Indubbiamente, però, la Spagna è davanti ad una svolta. Questo governo di coalizione sembra la prima risposta fuori dagli schemi che la politica spagnola tenta di dare alla crisi che investe la democrazia spagnola. Una risposta fragile, forse. Quanto, lo vedremo.


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