A causa di un attacco febbrile non posso essere presente al vostro incontro. Mi scuso con tutti, ma in primo luogo con John Shipton, cui avrei preferito manifestare la mia vicinanza in modo diretto.
La posizione di Amnesty International, immagino, vi è nota: siamo contrari, contrarissimi all’estradizione di Julian Assange negli Usa, attraverso un trasferimento diretto o tramite altro stato. Se estradato, Assange sarebbe sottoposto a un trattamento carcerario equivalente a tortura e subirebbe un processo iniquo che potrebbe terminare con una condanna abnorme.
So che per alcuni questa posizione è insufficiente. Soprattutto grazie al tuo appassionato lavoro investigativo ho compreso meglio, in questi mesi, che ci sono stati e ci sarebbero altri possibili scenari d’intervento: dalle passate condizioni di vita di Assange all’interno dell’ambasciata ecuadoriana, su cui un autorevole esperto delle Nazioni Unite ha lanciato l’allarme, alle attuali condizioni detentive a Belmarsh fino alle possibili interferenze nelle indagini che riguardano Assange in Svezia.
Quest’ultimo aspetto, devo dirlo con chiarezza, è quello più complicato su cui esprimersi. Ci vorrebbe una ricerca a ritroso molto complessa.
Non posso prendere impegni, soprattutto con questa modalità a distanza, a nome del Segretariato Internazionale di Amnesty International. Ma mi sento di assumere l’impegno di sottoporre alla mia organizzazione tutte le informazioni utili, comprese quelle che deriveranno dalla conferenza di oggi, perché valuti se sia possibile assumere una posizione più ampia oltre a quella netta sull’estradizione.
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