Un libro che rappresenta un j’accuse forte e documentato, che punta il dito contro realtà e persone, consuetudini e comportamenti. Rosso mafia – la ‘ndrangheta a Reggio Emilia (ed. Bompiani, 252 pag., 18,00 euro) è il libro scritto a quattro mani da Nando Dalla Chiesa e Federica Cabras, che sono stati ospiti della Camera del Lavoro di Reggio Emilia per spiegare cosa li ha portati a scrivere della terra dei Fratelli Cervi che è diventata la terra dei Grande Aracri, in un «…quadrilatero latino – ha spiegato Dalla Chiesa – in cui il Po, come per i romani, non era un confine, ma un elemento territoriale; da depredare, perfino…». Moderatore della presentazione, il giornalista reggiano Paolo Bonacini, che per la Cgil di Reggio Emilia ha seguito tutte le udienze del processo Aemilia, il più grande procedimento contro la ‘ndrangheta mai celebrato al nord.
Padrone di casa, Ivano Bosco, segretario provinciale della Cgil: «Dove c’è mafia, non c’è libertà; degli individui e nel mondo del lavoro. Non abbiamo alternative al ribellarci a chi mostra indifferenza alle mafie».
Il professor Dalla Chiesa ha elogiato il modo scelto dal sindacato reggiano per affrontare il problema: «Non si è scelta la retorica dei sindacalisti uccisi decenni fa dalle mafie; si è deciso di esserci, di studiare e di comprendere. È un’assunzione di responsabilità importante, per un sindacato. Reggio Emilia è un simbolo; se arriva la mafia, lo è ancor di più. Per questo dobbiamo capire perché qui a Reggio Emilia e non a Siderno o in altre realtà meridionali, la criminalità organizzata ha prosperato. Quando la mafia è convinta di aver conquistato una città, è arrivato il momento di intervenire. La ‘ndrangheta arriva dal basso, all’inizio la vede solo chi è in basso; poi, quando raggiunge i piani nobili, te la trovi lì senza accorgetene. Negli anni sono stato testimone dei gemellaggi reggiani con le scuole di Palermo; e intanto la ‘ndrangheta si stava mangiando Reggio Emilia. Bisogna capire i passaggi che hanno determinato ciò, capire come sono stati favoriti; è mancata una modestia personale che poi è diventata una modestia istituzionale e politica di fronte a ciò che succedeva. Gli omicidi non possono essere l’unico segnale per riconoscere la presenza delle mafie; qual è il grado di libertà, è la testimonianza della presenza della criminalità organizzata. La violenza a “bassa intensità” è diventata pregnante della società. I simboli non sono stati smantellati, ma svuotati per favorire la colonizzazione. La ‘ndrangheta non è stata solo un fenomeno criminale; è stata prima di tutto un fenomeno sociale».
La grande conoscenza del territorio locale di Federica Cabras ha fatto la differenza, per certi aspetti. E Federica ha voluto capire prima di tutto come possa essere stato possibile un fenomeno di questo tipo, che ha visto la provincia di Reggio Emilia diventare un avamposto ‘ndranghetistico per conquistare le province limitrofe: da Piacenza a Ravenna, da Mantova e Cremona a Venezia: «Sono stata a Quattro Castella, dove nel 1982 il boss Antonio Dragone è stato messo in soggiorno obbligato. Da Cutro alla provincia reggiana. Ho voluto dormire nella locanda dove dormiva Dragone, ho voluto parlare con le persone che vivevano in paese a quei tempi. Ebbene, a Quattro Castella nessuno ricordava quello che accadeva negli anni di Dragone. Ho toccato con mano una totale rimozione della memoria; una vera e propria non_volontà di ricordare».
La sala intitolata a Giuseppe Di Vittorio ha contenuto a stento i tanti che hanno voluto assistere alle considerazione degli autori; e Nando Dalla Chiesa e Federica Cabras non hanno deluso nessuno. Tra il pubblico, moltissimi ragazzi delle scuole reggiane che sono impegnati in percorsi di conoscenza del fenomeno della penetrazione nei territori ricchi dell’Emilia e del Nord Italia della criminalità organizzata.