A dieci anni di distanza, non è semplice prendersi cura della memoria di Lea Garofalo, la coraggiosa donna calabrese rea, agli occhi dei suoi assassini, di essere diventata una collaboratrice di giustizia, ribellandosi alla ‘ndrangheta e alle sue spregevoli logiche di potere e di controllo.
Lea Garofalo è un simbolo della legalità ma, al tempo stesso, l’emblema di un fallimento. Il fallimento dello Stato, delle istituzioni e di tutti noi, che ci siamo accorti di lei quando era ormai troppo tardi e la tragedia si era compiuta, quando c’era solo qualche resto a ricordare che era stata una donna e aveva avuto il coraggio di opporsi alla barbarie.
Spiace dirlo, ma è doveroso sottolineare che Lea non è stata protetta adeguatamente, non ha avuto la tutela e il sostegno di cui avrebbe avuto bisogno, non è riuscita a scampare alla ferocia dei suoi aguzzini perché non è riuscita del tutto ad affrancarsi da un contesto di morte e di violenza che ha finito col travolgerla.
Lea Garofalo è stata uccisa in seguito a un agguato, il suo corpo è stato dato alle fiamme per tre giorni consecutivi, così che non ne restasse quasi niente, la sua dolcezza e la sua forza d’animo sono state sfregiate in modo irrimediabile e l’inferno l’ha inghiottita senza concederle alcuna possibilità d’appello.
Del resto, la ‘ndrangheta non concepisce la pietà, non concepisce il perdono, non dimentica. Lea è stata massacrata per aver osato alzare la testa e battersi affinché almeno a sua figlia Denise fosse risparmiato lo stesso destino di sofferenza e assoggettamento, affinché almeno lei potesse vivere libera, affinché questo Paese potesse essere migliore.
Ha pagato un prezzo altissimo e oggi, mentre si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, vale la pena prendersi cura di una storia che pochi rammentano, molti hanno preferito dimenticare, l’oblio ha travolto come spesso accade alle storie di vendetta criminale e il potere ha preferito relegare, a sua volta, nel dimenticatoio, evidentemente vergognandosi per non essere riuscito ad assicurare giustizia e sicurezza a chi gli aveva affidato la propria stessa vita in cambio di rivelazioni importantissime.
Lea Garofalo è una vittima di molti assassini: coloro che l’hanno materialmente uccisa e coloro che non sono riusciti a proteggerla, coloro che ne hanno rimosso il sacrificio e coloro che la infangano, forse per difendere una coscienza troppo sporca per essere descritta.
Eppure, fino a quando qualcuno ne scriverà, fino a quando un giornale ospiterà una testimonianza, un ricordo, anche solo una frase in memoria di questa eroina contemporanea, Lea avrà vinto la sua battaglia. Scrivere di lei è un atto di ribellione: significa illuminare l’oscurità del potere criminale, infliggere un colpo durissimo a una certa concezione patriarcale della famiglia e dei rapporti di forza ma, soprattutto, prendere idealmente per mano sua figlia Denise e incitarla ad andare avanti, nonostante il vuoto, la solitudine, l’abbandono.
Lea Garofalo è stata sconfitta ma non ha perso: la sua battaglia, dieci anni dopo, continua più forte e intensa che mai.
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