Relazione introduttiva alla prima sessione del Convegno. La frontiera del diritto e il diritto della frontiera. Lampedusa 9 e 10 Novembre 2019
1. Si ricorda oggi il trentennale della caduta del muro di Berlino. Si festeggia la riunione di un popolo, ingiustamente diviso, al quale la storia d’Europa deve molto sul piano artistico e culturale in genere. Si festeggia anche l’avvio dell’inizio del processo di superamento dei regimi non democratici che avevano governato i Paesi dell’est.
Non possiamo ignorare tuttavia, come recentemente ci è stato ricordato anche nella Biennale di architettura di Venezia, che ha dedicato ben quattro padiglioni ai nuovi muri costruiti in Europa, che al posto dei 150 chilometri di quel muro, a partire dal 2012 (fino a quell’anno c’erano solo i muri di Ceuta e Melilla), ne sono stati costruiti altri (di filo spinato o di mattoni, non importa) sei volte più lunghi, di ben 900 chilometri, per impedire l’ingresso nel nostro continente a persone che fuggono da guerre e persecuzioni o anche solo da condizioni di vita materiale impossibili.
Il che appare paradossale in un continente che nasce come simbolo dell’unione, tra oriente e occidente, di tradizioni di più popoli. Come è noto, infatti, “Europa” è l’eponimo della mitica figlia del re di Tiro – della quale parlano Omero, Esiodo e Ovidio – rapita e portata, da Zeus a Creta. In suo onore i greci chiamarono appunto Europa il continente a nord di quest’isola.
2. Nulla di più sbagliato si può dire quando si afferma che le migrazioni di massa sono un’emergenza dei nostri anni. No, sono un fenomeno che ha accompagnato la nascita dell’era moderna, che ha una profonda radice antropologica, direi ancestrale, perché l’homo sapiens è nato nomade alla continua ricerca di selvaggina più grossa e terreni più fertili.
Certamente oggi il fenomeno migratorio è più complesso, molto diverse e complesse ne sono le cause o, comunque, gli aspetti non solo demografici ma anche economici e geopolitici.
Dobbiamo riconoscere subito però che non sono estranee alle attuali migrazioni responsabilità dei Paesi più ricchi che, con la violenza delle guerre (pensiamo all’Afganistan e all’Iran e al coinvolgimento nella cosiddetta guerra civile siriana e al fatto che tra i richiedenti asilo nell’UE un terzo sono siriani, e subito dopo ci sono gli afgani e gli iracheni) e lo sfruttamento dei territori, hanno aggravato la povertà, la fame, i rischi per la stessa incolumità degli abitanti dei Paesi del sud del pianeta.
3. L’Europa è chiamata a svolgere un ruolo importante sul piano politico ma anche su quello giuridico.
Sul piano normativo l’evoluzione è stata netta e, dal mio punto di vista, positiva. Dal silenzio dei Trattati di Roma (del 1957), che tacciono sui fenomeni migratori, attraverso gli accordi di Schengen (1985 e 1990), che pur occupandosi anche dei controlli delle frontiere esterne sono caratterizzati dall’abolizione delle frontiere interne, si arriva al Trattato di Maastricht (1993) che considera l’immigrazione, l’asilo e in genere le regole per l’ingresso di cittadini di Stati terzi esclusivamente come problemi di sicurezza delle frontiere e di repressione dell’immigrazione illegale, inseriti nel cosiddetto terzo pilastro (affari interni e giustizia), basato sul principio della collaborazione intergovernativa. Il salto di qualità è fatto dal Trattato di Amsterdam (1998): la materia dell’immigrazione diventa anche un problema di tutela dei diritti fondamentali dei migranti, in particolare di regole comuni di valutazione delle domande di asilo ed esce dal terzo, per entrare nel primo “pilastro” (Unione Europea), nel quale si applica il cosiddetto metodo comunitario basato sulla regola delle decisioni a maggioranza nell’ambito del Consiglio. Conclude l’evoluzione del processo normativo il Trattato di Lisbona (2009), che abolisce il sistema dei “pilastri”, prevede la competenza concorrente degli Stati membri e dell’Unione, nel rispetto del principio di sussidiarietà e, soprattutto, attribuisce alla Carta di Nizza lo stesso valore delle norme dei trattati e sancisce l’adesione dell’Unione alla CEDU. Asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne sono oggetto di garanzie offerte dall’Unione nell’ambito di una politica comune fondata sulla solidarietà e l’equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario.
Il quadro normativo è di un’evidente complessità, si inserisce in un sistema delle fonti del diritto interno dell’immigrazione, nel quale si manifestano conflitti tra norme e quindi forti esigenze di coordinamento, nel rispetto del principio di cui all’art. 117 Cost.
Tra le fonti di diritto europeo che condizionano il nostro diritto dell’immigrazione, come ho appena detto, occupa un posto centrale la Cedu, anche se è vero che pure la Convenzione di Roma non ha specifiche disposizioni sui diritti degli stranieri, perché all’epoca in cui venne scritta era prevalente la finalità di ristabilire nell’Europa uscita dalla tragedia della guerra la pace, la democrazia e la preminenza del diritto. Tuttavia, non mancano nella Convenzione, e soprattutto nei protocolli addizionali successivi, riferimenti agli stranieri: la possibilità di introdurre restrizioni all’attività politica degli stranieri; il diritto di emigrare (ma non lo jus migrandi!); il divieto di espulsioni collettive e le garanzie procedurali nei confronti delle espulsioni. Comunque, poiché la Convenzione riconosce che i diritti da essa previsti riguardano tutte le persone sottoposte alla giurisdizione degli Stati aderenti, indipendentemente dalla loro nazionalità -come emerge chiaramente dall’interpretazione recepita dalla Corte di Strasburgo- alcuni diritti fondamentali oggetto di norme generali, come quella sul diritto alla vita, alla garanzia della libertà personale, al rispetto della vita personale e familiare e al divieto di trattamenti disumani e degradanti, si applicano anche agli stranieri.
4. Se molto netto e, ripeto, sostanzialmente positivo è il quadro normativo, basato sulla ricerca di un giusto equilibrio tra interessi degli Stati membri e tutela effettiva dei diritti fondamentali dei migranti, molto controverse e a mio avviso francamente criticabili sono le politiche che l’Europa è riuscita a mettere in atto. Anche se le dimensioni quantitative ne mettono in evidenza il carattere strumentale (21,6 milioni di cittadini extracomunitari rispetto a 510 mila abitanti dell’Unione) i mantra più diffusi, che influenzano tali politiche, sono: “fermiamo l’invasione”, “più sicurezza dei confini dell’UE”.
Un tema cruciale è quello dell’applicazione del sistema di Dublino (1990, 2003 2014), basato sulla regola della competenza del Paese di primo approdo per la registrazione del richiedente e per la valutazione delle domande di asilo. Direi che le critiche (onere, non solo economico, delle migrazioni attraverso il Mediterraneo gravante solo sulle frontiere europee meridionali, senza che ne derivino effettive garanzie dei diritti fondamentali dei rifugiati) sono unanimi. Il Parlamento europeo ha sollecitato, fin dal 2017, una riforma, ma la Commissione, di fronte alle difficoltà di trovare un accordo tra i Paesi membri, ha rinunciato a ogni tentativo.
Sono sul tappeto, invece, e a mio avviso meritano di essere esaminate in modo approfondito nel pubblico dibattito, le proposte formulate pubblicamente dal prof. Onida (1. creare un regime esplicitamente derogatorio di Dublino sulla base del quale chi arriva in Italia arriva in Europa e l’Europa deve quindi farsi carico degli oneri anche finanziari dell’accoglienza, ovvero se ne può far a carico in un primo momento l’Italia ma a nome e per conto dell’Europa; 2. aprire vie legali di ingresso come corridoi umanitari; 3. migliorare l’integrazione) e dal Presidente Enrico Letta (uscire temporaneamente dai Trattati e avviare negoziati per un Trattato, da firmare a Lampedusa, che sostituisca le regole di Dublino e preveda meccanismi automatici di ricollocamento tra i Paesi membri, gestiti da un’autorità centrale).
5. Con l’Accordo del 18 marzo 2016, la Turchia, in cambio del versamento di sei miliardi di euro, si è impegnata a ricevere i migranti e i profughi (prevalentemente siriani) arrivati in Grecia e che non abbiano presentato domanda di asilo nel Paese di approdo o la cui domanda sia stata respinta. Per ogni profugo siriano rimandato in Turchia dalle isole greche, un siriano potrà essere rimandato in Europa con i canali umanitari. Inoltre: liberalizzazione della concessione dei visti per i cittadini turchi e apertura di nuovi capitoli nella trattativa per l’adesione della Turchia all’Unione. Avendo natura sostanziale di trattato internazionale, al di là del termine “accordo” utilizzato, l’accordo sembra che sia stato sottoscritto in violazione dell’art. 218 del Trattato dell’Unione (che prevede l’autorizzazione del Consiglio alla Commissione per l’avvio dei negoziati e la partecipazione del Parlamento quando si trattano i problemi dell’asilo).
Ma, a parte la critica di natura procedurale, l’Accordo è illegittimo soprattutto perché si pone in contrasto col principio fondamentale del non respingimento, sancito nella Convenzione di Ginevra sull’asilo e i rifugiati (art. 33), secondo cui al rifugiato non può essere impedito l’ingresso sul territorio nazionale né può esso essere deportato, espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. E non sembra che la Turchia, all’epoca della sottoscrizione dell’Accordo, e a maggior ragione ora, dia sufficienti garanzie per i diritti fondamentali dei migranti, considerati più strumenti di una politica aggressiva e violenta che nel loro valore inalienabile di persone. Basta leggere la recente dichiarazione minacciosa del presidente Erdogan (“Paesi dell’Unione Europea, se provate a chiamare la nostra operazione [contro i curdi del Rojava ndr.] un’invasione allora la risposta è semplice: apriremo i nostri confini e vi manderemo 3.6 milioni di rifugiati”).
6. Resta di grande attualità il Memorandum sottoscritto dal governo italiano il 2 febbraio 2017 con il governo libico di al-Serraj, ritenuto da molti la brutta copia di quello con la Turchia, anche se ormai si è rinnovato automaticamente ( ) e la discussione si è spostata sulle modifiche richieste dall’Italia sul cui accoglimento sono legittimi molti dubbi.
Pur essendo un accordo intergovernativo bilaterale, in realtà il Memorandum funziona, in modo certo non trasparente (è stato apposto dall’Italia il segreto di Stato sull’utilizzazione dei fondi europei, il che rafforza il sospetto di alcuni osservatori che in realtà i fondi siano utilizzati per finanziare le milizie del governo di Tripoli) con finanziamenti UE e si inserisce nell’attività di addestramento della cosiddetta Guardia costiera libica, cominciata nell’ottobre del 2016 con l’operazione Sophia (iniziata dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum) e prorogata fino al 30 settembre 2019, anche se senza utilizzazione di proprie navi per l’individuazione, cattura e distruzione delle imbarcazioni dei trafficanti).
Le proposte avanzate dal Governo italiano di trasformare gli attuali centri di detenzione in centri a gestione UE (ma la Commissione e i libici hanno già detto di no) o ONU, sottovalutano il fatto che oggi, su 19 centri di detenzione, solo in 3 può lavorare l’ONU e 1 è gestito dall’UNHCR, pur rivendicando il Governo come aspetto positivo del Memorandum l’apertura dei centri alle agenzie internazionali.
Lo svuotamento (parola che non mi piace per nulla) dei centri di detenzione con i corridoi umanitari e l’incremento dei rimpatri volontari verso i paesi d’origine sembra velleitario. L’esperienza concreta dei corridoi umanitari, che prevede i visti umanitari a territorialità limitata per le persone vulnerabili (vittime di persecuzioni, torture e violenze; famiglie con minori, anziani, malati, disabili), pur se estremamente positiva sul piano del messaggio culturale trasmesso, è dal punto di vista quantitativo del tutto insignificante. Al giugno 2019 è stato utilizzato per consentire l’ingresso in Europa di 2.660 persone (2.148 in Italia, fra siriani ed etiopi, 364 in Francia, 150 in Belgio, 7 in Andorra). Più rilevante, sempre dal punto di vista quantitativo, è l’esperienza dei rimpatri volontari (che prevedono un’assistenza per il reinserimento sociale ed economico nei paesi d’origine e un modesto aiuto economico diretto). Tramite l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel 2018 ne sono stati effettuati 63.316.
Molto generiche e velleitarie sembrano poi le proposte di blindare i confini meridionali della Libia e di migliorare le condizioni dei migranti mediante misure di sostegno alle municipalità.
7 Anche nei confronti del Memorandum si pongono problemi di legittimità formale, per contrasto con l’art. 80 della Cost. (“1. Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi.”) E infatti pende davanti alla Corte costituzionale un ricorso per conflitto di attribuzione presentato da alcuni parlamentari), e ancora più gravi problemi sostanziali a causa delle gravissime violazioni dei diritti umani fondamentali consumate nella concreta attuazione degli accordi, testimoniate: a) da inchieste giornalistiche italiane e straniere; b) dalla sentenza del Tribunale permanente dei popoli emessa all’esito del procedimento celebrato a Palermo dal 18 al 20 dicembre 2017; c) da un rapporto di Amnesty International del dicembre 2017; d) dalla sentenza della corte d’assise di Milano del 10 ottobre 2018 (condanna per sequestro di persona, aggravato dalla morte, abusi sessuali e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cittadino somalo che aveva agito in concorso con i gestori dei centri di detenzione); e) dal documento dell’UNHCR del 12 luglio 2019 che, dopo aver espresso apprezzamento per l’opera svolta dalle navi delle ONG, afferma con nettezza che la Libia non può offrire un porto sicuro e che, senza la garanzia che nessun migrante soccorso possa essere detenuto arbitrariamente e che siano rispettati i diritti umani fondamentali, nessuna forma di sostegno dovrebbe essere erogata in favore della Libia.
E’ di queste ore la notizia di stampa che la Procura presso la Corte penale dell’Aja, diretta dalla signora Fatou Bensourda, sta concludendo l’indagine iniziata fin dal 2017, sulle violenze che si consumano nei centri di detenzione ufficiali e non ufficiali e sulla morte di 53 migranti detenuti nel centro di Tajura causata dai bombardamenti del generale Haftar il 2 luglio di quest’anno. Le indagini, sollecitate anche da un report del Consiglio di sicurezza e da segnalazione del Segretario generale ONU, sembra si debbano concludere con l’emissione di mandati d’arresto nei confronti di esponenti libici coinvolti nel traffico di esseri umani. L’esito di queste iniziative è però molto incerto perché la Libia non ha sottoscritto la convenzione di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale di L’Aja e la Libia si è già rifiutata in altra occasione di consegnare le persone colpite da mandati di arresto (il figlio di Gheddafi e altri componenti del suo clan nonché fedelissimi del generale Haftar).
Mi riesce difficile capire quale ragione possa ancora giustificare il mantenimento in vigore del Memorandum.
Molte speranze ha suscitato il preaccordo siglato a Malta il 23 settembre 2019 da Italia, Francia, Germania e Finlandia, che pur avendo un oggetto limitato (migranti salvati in mare da navi militari e delle ONG, ma non quelli che sbarcano autonomamente), si basa sulla proposta veramente innovativa della redistribuzione automatica dei migranti per quote tra i Paesi firmatari e sulla rotazione automatica dei porti di sbarco. Ma, non ostante l’ulteriore adesione di Irlanda, Lussemburgo e Portogallo, il Consiglio degli affari interni dell’8 ottobre scorso non ha potuto procedere al perfezionamento di un accordo formale per la contrarietà di molti Stati membri (la Bulgaria ha proposto in alternativa all’accoglienza il versamento di 30.000 euro per migrante rimpatriato!).
8. Amarezza e profonda delusione ha suscitato, infine, la mancata approvazione il 24 ottobre scorso (288 voti a favore, 290 contrari e 36 astenuti) della proposta di risoluzione del Parlamento europeo formulata da Juan Fernando Lopez Aguillar, a nome della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni che prevedeva: 1) l’istituzione di un servizio europeo di ricerca e soccorso, nel rispetto delle leggi del mare, in collaborazione con le guardie costiere dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo; 2) l’intervento delle navi delle ONG più vicine al luogo del naufragio o del pericolo di naufragio; 3) l’apertura dei porti; 4) il ricollocamento automatico dei migranti soccorsi tra i Paesi membri; 5) lo “svuotamento” dei centri di detenzione libici e l’invito alla Commissione a porre fine alla collaborazione con la Libia nel caso di accertamento di gravi violazioni dei diritti fondamentali (l’approvazione di questa clausola, quindi, avrebbe reso impossibile la proroga del Memorandum); 6) l’approvazione del preaccordo di Malta e 7) la creazione di percorsi legali e sicuri per i migranti.
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Voglio chiudere questa mia breve presentazione ricordando il monito che Papa Francesco, a pochi mesi dalla sua elezione, ha lanciato (stavo per dire, ha gridato) qui a Lampedusa il 9 luglio 2013, rendendo omaggio ai naufraghi morti nelle acque di questo mare: …oggi questa domanda emerge con forza: chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? …Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo…siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro.”
Questo monito abbiamo condiviso. Perciò siamo qui, a Lampedusa, alla porta d’Europa per dire, che non siamo insensibili e che, nei limiti delle nostre capacità e delle nostre forze, siamo impegnati a superare l’indifferenza diffusa in tanti settori della nostra società.
Giuseppe Salmè
già Presidente di sezione della Corte di cassazione