Efficienza, efficacia ed economicità sono tre parole apparentemente inoffensive. Eppure sono quelle che hanno contribuito a portare anche l’acqua che utilizziamo quotidianamente nelle nostre case dentro la sfera dell’economia di mercato quella, per intenderci, legata alla domanda e all’offerta, ma anche agli indici di borsa e al famigerato spread.
Quando si pensa all’acqua non si ragiona su chi deve avere accesso alla risorsa, su chi deve utilizzarla, su come deve essere trattata e come deve essere tutelata dall’inquinamento, ma soltanto su come deve essere una gestione efficiente che costi il meno possibile.
E così se la proprietà dell’acqua è e rimane pubblica secondo la legge italiana e secondo il buon senso, quello che invece in questi anni è stato messo in discussione è stata la gestione pubblica dei servizi idrici: la fornitura, la depurazione, lo smaltimento delle acque cosiddette nere. Tutti questi servizi per un secolo sono stati forniti direttamente dalle amministrazioni locali attraverso una gestione totalmente pubblica. Ma da quando si è cominciato a parlare di efficienza, efficacia ed economicità si è anche pensato di poter passare da una gestione pubblica, considerata ormai obsoleta e inefficiente, a una gestione di diverso tipo che utilizzasse gli strumenti più semplici del diritto commerciale.
È proprio della complessa questione della gestione dell’acqua che si occupa il libro di Sergio Marotta Le forme dell’acqua. Economia e politiche del diritto nella gestione delle risorse idriche, appena pubblicato dalla casa editrice napoletana Editoriale Scientifica.
Il titolo è sì un tributo al grande Andrea Camilleri, ma è anche un chiaro riferimento alle diverse forme giuridiche che la gestione dell’acqua può assumere. Sergio Marotta, infatti, è un sociologo del diritto, una singolare figura di studioso che si occupa della connessione tra diritto e società.
Perché la gestione dell’acqua è un caso di studio interessante per un sociologo del diritto? Ma proprio perché, in questo particolare case study, i percorsi del diritto e i mutamenti del modo di pensare della nostra società si intrecciano cercando, con fatica, di trovare un difficile equilibrio.
Sull’acqua la sensibilità sociale è molto elevata. Non è un caso che proprio i referendum sull’acqua del giugno 2011 sono stati i primi, dopo molti anni, non solo a raccogliere finalmente il quorum, ma anche a vedere una stragrande maggioranza di italiani, oltre ventisei milioni di elettori, esprimersi a favore della gestione pubblica delle risorse idriche.
L’autore, infatti, ripercorre con la puntigliosa precisione del giurista, le riforme della legislazione sui servizi pubblici locali degli ultimi anni, e ricostruisce anche, con la sensibilità e gli strumenti di osservazione del sociologo, i movimenti di resistenza alla privatizzazione dei servizi pubblici locali che si sono sviluppati in Italia e le loro iniziative più o meno efficaci per salvaguardare l’«oro blu» dai tentativi di speculazione e dalle mire delle multinazionali del settore.
La convinzione che percorre tutto il volume è che la forma di gestione migliore debba essere scelta dalla comunità che utilizza l’acqua. Tale comunità dell’acqua più o meno numerosa perché costituita a volte da pochi e a volte da molti comuni dovrebbe avere a disposizione tutti gli strumenti giuridici necessari per decidere autonomamente se rivolgersi al mercato oppure gestire in proprio i servizi idrici attraverso forme di gestione pubblica perché autorganizzata. In Europa queste forme di gestione si chiamano “autoproduzione”, mentre in Italia si chiamano “gestione diretta” con un tecnicismo di origine francese difficilmente comprensibile ai più.
L’autore non manca mai di ricordare che fino al testo unico sui servizi pubblici locali dell’anno 2000 gli amministratori avevano a disposizione diverse modalità per fornire servizi ai propri cittadini: potevano farlo con forme di diritto pubblico, l’azienda speciale, o con forme di diritto privato, la società di capitali, rivolgendosi al mercato. La finanziaria per il 2002, la prima del governo Berlusconi, portando a conclusione una riforma preparata dal precedente governo di centro-sinistra, trasformò le modalità di gestione sancendo che le regole del mercato erano le uniche valide per gestire anche i servizi pubblici locali.
Per capire questo percorso uno dei capitoli del volume si intitola “La depubblicizzazione dei servizi idrici. Dalla municipalizzazione all’obbligo di esternalizzazione” facendo comprendere come da una varietà di strumenti di diritto pubblico e di diritto privato per gestire i servizi idrici si è passati al pensiero unico del mercato. E ciò anche quando le gestioni realizzate dalle grandi multiutility come Acea S.p.A., Hera S.p.A., A2A S.p.A. o Iren S.p.A. rimangono sotto il controllo delle amministrazioni pubbliche che continuano ad essere gli azionisti di riferimento perché proprietarie dei pacchetti di controllo di queste società.
Insomma la gestione dell’acqua è un problema complesso tanto dal punto di vista economico, che da quello tecnico-ingegneristico, dal momento che si tratta di servizi complessi ad alta specializzazione che richiedono professionalità diverse per funzionare nel modo migliore.
Eppure non bisogna dimenticare che l’acqua è un bene comune per eccellenza perché è un bene essenziale che riguarda i diritti fondamentali e che deve essere gestito nel modo migliore per essere lasciato intatto alle generazioni future.
Per l’acqua, ricorda Sergio Marotta, bisogna decidere la forma di gestione migliore seguendo, almeno una volta la parte più profonda della nostra umanità.
Titolo del libro
Sergio Marotta, Le forme dell’acqua. Economia e politiche del diritto nella gestione delle risorse idriche, Napoli, Editoriale Scientifica, 2019.