«Di getto le risponderei: per la massa di evasione fiscale, per la corruzione capillare, per una diffusa cultura che cerca in qualunque occasione lo scambio. Così i salari scendono, così calano gli investimenti e l’ unica cosa che aumenta sono i risparmi fermi sui conti correnti in banca».Perché, secondo lei?
«Perché la gente non ha fiducia. Ma così non si fa sistema».
Colpa della politica? Non è un po’ semplicistico dare la colpa ai politici?
«Guardi, la politica ragiona a domattina. È sotto gli occhi di tutti.
Serve un’ etica di comportamento, avere una visione e valori forti. Spesso tutto questo non si vede. Sa qual è la differenza tra noi e i Paesi europei come la Francia e la Germania? Il fatto che loro sono capaci di fare sistema. E se guardo dalla mia posizione di sindacalista, di rappresentanza di chi lavora, penso che la deriva sulla svalorizzazione del lavoro nasca, oltre che dallo sposare il liberismo, proprio da lì. Da una mancanza di visione di sistema al cui centro c’ è il lavoro, che ha condotto alla precarietà, all’ aumento delle distanze sociali producendo diseguaglianze sociali e territoriali».
«Sì, ma la nostra precarietà non ce l’ ha nessuno. E qui sta anche la ragione della bassa produttività che ci trasciniamo da decenni, del calo progressivo degli investimenti pubblici e privati, e dell’ assenza di politica industriale. Chi investe se chi lavora non vale? E se il lavoratore conta poco e non lo si forma come fa ad accrescere la sua produttività?».Insisto: ma davvero attribuisce le responsabilità solo alla politica? E gli imprenditori? E le resistenze del sindacato?
«Certo che non è solo colpa della politica. Gli imprenditori? In pochi hanno continuato ad investire e pochi hanno accresciuto la loro dimensione. Molti, invece, non hanno preparato il ricambio generazionale o hanno venduto all’ estero. Le imprese piccole non bastano per rimettere al centro il valore del lavoro. Dove sono le nostre grandi imprese? Cosa abbiamo nei settori strategici?Le grandi famiglie del capitalismo italiano hanno spesso avuto e hanno più attenzione ai dividendi che agli investimenti. Sono nate multinazionali tascabili, pur importanti, ma se si pensa oggi alle grandi imprese la maggioranza sono pubbliche, Eni, Enel, Leonardo, Fincantieri, Poste, tra le altre»… Continua su libertaegiustizia