Negli ultimi venti anni sono stati eretti in tutto il mondo muri e recinti per migliaia di chilometri. Almeno sessantacinque paesi, ovvero più di un terzo degli stati nazionali del mondo, hanno costruito barriere lungo i propri confini.
Tim Marshall, per trent’anni corrispondente estero BBC e Sky News, inviato di guerra in Croazia, Bosnia, Macedonia, Kosovo, Afghanistan, nel saggio I muri che dividono il mondo, edito in Italia nel 2018 da Garzanti, non si limita a elencarli e a descriverne le caratteristiche. Va ben oltre. Indaga a fondo e racconta per esteso le motivazioni che hanno portato alla costruzione di quelli che egli chiama muri ma che sono, in realtà, barriere, recinti e divisioni di ogni tipo.
Impossibile analizzarli tutti così Marshall si è concentrato su quelle divisioni che illustrano meglio i problemi dell’identità in un mondo globalizzato, oppure gli effetti della migrazione di massa (gli Stati Uniti, l’Europa, il subcontinente indiano), il nazionalismo come forza di unità e al contempo di divisione (la Cina, il Regno Unito, l’Africa), i legami tra religione e politica (Israele e Medio Oriente).
Le divisioni fisiche, ricorda Marshall, riflettono le divisioni culturali – le grandi idee che hanno guidato le nostre civiltà e ci hanno dato un’identità e un senso di appartenenza – come il grande scisma cristiano, la suddivisione dell’islam nelle due fazioni sciita e sunnita, fascismo e democrazia. Di fronte a minacce percepite, come la crisi finanziaria, il terrorismo, il conflitto armato, i profughi e l’immigrazione, il crescente divario tra ricchi e poveri, le persone si attaccano maggiormente ai rispettivi gruppi di riferimento. Si accentua la paura verso tutto ciò che è o rappresenta l’altro, il diverso e alla fine tutto si riduce al concetto di noi e loro e ai “muri che costruiamo nelle nostre menti”, prima ancora di farli diventare concreti, reali, fisici.
Dobbiamo prendere coscienza di ciò che ci ha diviso, e di ciò che continua a dividerci, per capire cosa sta accadendo oggi nel mondo. Ed è esattamente quello che ha fatto Tim Marshall nel testo. La nostra capacità di pensare e di costruire ci dà la possibilità di riempire gli spazi divisi dai muri con la speranza, in altre parole di costruire ponti.
«Per ogni muro che separa due paesi c’è un’autostrada dell’informazione; per ogni al-Qaeda c’è un gruppo di assistenza interreligiosa; per ogni sistema antimissile c’è una stazione spaziale internazionale.»
Una lettura molto intensa, I muri che dividono il mondo di Tim Marshall. Un libro che pone il lettore di fronte una innegabile realtà dell’essere umano in quanto tale, che invita alla riflessione sui grandi temi e le tante ideologie che hanno diviso volendo unire e finito per unire laddove lo scopo era dividere. Una fotografia del mondo di oggi, triste per certi versi ma non senza speranze per l’autore, il quale pur consapevole della attuale continua ascesa di nazionalismi e politiche identitarie continua a ritenere possibile e probabile lo spostamento del “pendolo della Storia” che potrebbe tornare a oscillare in direzione dell’unità.
Assolutamente condivisibile la sua speranza purché venga nutrita e alimentata da certezze ed evidenze reali. Il rischio è quello di aggrapparsi a ogni seppur effimero barlume di cambiamento, anche laddove si riveli un fuoco di paglia.
Nel 1989 è caduta una importante barriera, il Muro di Berlino, dando inizio a quella che sembrava una nuova era di apertura e internazionalismo. Sull’onda dell’entusiasmo di quei momenti alcuni intellettuali arrivarono a prevedere la fine della Storia. Un errore, come sottolinea lo stesso Marshall, perché “la Storia non finisce”. Mai. E le migliaia di chilometri di muri e recinti costruiti o rimasti da allora ne sono la triste e palese dimostrazione. Purtroppo.