80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

La scomparsa di Omero Antonutti

0 0

Il “nostos” della parabola umana si è compiuto per Omero Antonutti nella sua friulana terra nativa e – ci piace immaginare- secondo i suoi desideri di uomo senza fronzoli. Schivo laconico, serio ma non serioso, era spesso (tenuamente) lambito da distaccato e deluso sorriso:  quercia austera,  ancestrale, “epica” e densa di ritegno (“nomen omen”), che non amava attardarsi in mondanità e autopromozioni,  coltivando semmai un’idea tutta propria (un affare scabro e privato) del mestiere d’attore. Sempre di prima grandezza e nessuna insofferenza per notorietà e conventicole di ‘appartenenza’.

Pur se  lunghissimo fu per lui il sodalizio coi Fratelli Taviani, che lo vollero magistrale, “arcigno” protagonista di «Padre Padrone» (premiato a  Cannes,  con la Palma d’oro, nel 1977) e poi rimasto a loro legato quasi come  attore-feticcio lungo il corso di una fervida, non pianeggiante carriera che, attraversando gli anni ottanta, va da «La notte di San Lorenzo»   (epico e corale) a «Kaos»   (ovvero, le scaturigini isolane dell’arte e dei drammi pirandelliani), da «Good morning Babilonia»   (molto bistrattato da alcuni critici: ingiustamente) al più recente «Tu ridi»  (che invece venne molto acclamato)

“Friulano tutto d’un pezzo, adottato dalla mitteleuropea Trieste ancora giovanissimo e poi cittadino romano per molti anni” (si legge in una scheda biografica) Antonutti è stato è stato un raro esempio  di interprete affidabile, multiforme, riservatissimo sul versante della propria vita privata, peraltro “viaggiatore della cultura e maestro modellatore della voce” nelle mille sfumature delle lingue adottate – specie nella lunga  carriera di doppiatore.

Poliglotta e giramondo, Omero Antonutti  recitava con naturalezza nel greco di «Alessandro il Grande» per Theo Angelopulos (premiato a Venezia nel 1980), in spagnolo per Victor Erice, Carlos Saura e Miguel Littin, in tedesco per Willi Herman.  Mentre l’autocontrollo e la fermezza del viso facevano da contrasto alle   sfumature (morbide o possenti) delle sue tonalità-  vocalmente assimilabili a quelle del baritono e del basso.

Negli  anni aveva, poi,  ritrovato il piacere di affabulare nelle sue lingue natali, il Friulano e Giuliano,   che sempre più spesso portava in palcoscenico per vere gemme di reading imbastite sulla polisemica  ‘sensorialità’  dei suoi autori più amati (da Magris a Pasolini).  Un modo raffinato e defilato  di evocare e prolungare  le lontane esperienze di grande comprimario teatrale.

Debuttante- dopo una la prima giovinezza trascorsa da operaio ai cantieri navali di Trieste-  allo Stabile di Genova, ove rimase dal  1962 al 1976, diretto e benvoluto da Luigi Squarzina, con i classici di ‘formazione’  (I gemelli veneziani di Goldoni, Il fu Mattia Pascal e Questa sera si recita a soggetto di Pirandello) e i  prediletti testi di impegno civile (Rosa Luxemburg su tutti). Personalmente – giusto per carezzare le nostre ‘meglio gioventù- continuo a ricordarlo compatto, assoluto protagonista della ibseniana Anitra selvatica, che Luca Ronconi allestì (magistralmente) nel 1977, e rimase in cartellone per tre stagioni.   Altri tempi, altri luoghi come è giusto che sia….


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21

Articolo21
Panoramica privacy

Questo sito Web utilizza i cookie in modo che possiamo fornirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito Web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito Web trovi più interessanti e utili.

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.