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Iraq. Quei cinque ragazzi italiani devono sapere che non sono stati feriti invano

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Cinque soldati italiani feriti in Iraq, con due casi di amputazione. E’ grave il bilancio dell’attentato subito dal nostro esercito, schierato in Iraq per addestrare le truppe locali anti-Isis. Hanno un senso queste missioni? – è la domanda che in questi casi torna nei dibattiti pubblici. Io credo di sì. Basti pensare alla protezione assicurata dai nostri militari alla grande diga posta a nord di quel paese, un obiettivo sensibilissimo per la devastazione immane di civili, che provocherebbe la sua distruzione ad opera dei fondamentalisti.

Sono ancora missioni di pace? O abbiamo – di fatto – smesso di ripudiare la guerra, come invece è scritto nella nostra Costituzione? Un po’ entrambe le cose. Ma dobbiamo sapere che più c’è impegno nel pacificare le zone “incubatrici” di fondamentalismo – soprattutto con i presidi umanitari che sempre affiancano la nostra presenza –  più si prevengono attentati nelle città occidentali. Quei cinque ragazzi – e le loro famiglie – devono sapere che non sono stati feriti invano. Ma li si onora ribadendo con compostezza l’utilità del loro sacrificio; non facendo a gara chi urla più forte “tutti a casa!”.

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