Paradise, presentato al TFF nella sezione After Hours, è il primo lungometraggio di finzione del triestino Davide Del Degan, più conosciuto come autore di corti e per il pluripremiato documentario L’ultima spiaggia, girato insieme al regista di origine greca Thanos Anastopoulos. Scritto da un altro giuliano, Andrea Magnani, autore anche della commedia surreale Easy, il film vuole essere una tragicommedia, che affianchi ai toni tristi quelli più lievi della vita, perché, come ha dichiarato lo stesso regista, questo è stato sempre nel suo stile: “Raccontare storie drammatiche anche con il tocco leggero della commedia, del paradosso, insomma riuscire a strappare un sorriso con l’ironia, che nella vita è fondamentale per sopravvivere”. La storia è presto detta. Un testimone di giustizia viene inviato dalla Sicilia agli antipodi, in Carnia, in mezzo a lupi, foreste, montagne e genti che parlano lingue incomprensibili. Catapultato per la propria salvezza dal borgo marino, dove viveva vendendo gelati e granite, al villaggio montano, Calogero (Vincenzo Nemolato) così si presenta agli attoniti abitanti: vive in solitudine nel residence Paradise provando a praticare il suo vecchio mestiere, vendere frigoriferi agli eschimesi in mezzo alla neve. Da mesi trascina nella sofferenza le sue giornate, afflitto per essere lontano dalla moglie Lucia (Selene Caramazza) e per non aver mai visto la figlia Marcella, nata durante la sua “cattività”. La causa dei suoi mali è aver denunciato un assassinio di mafia. E i cattivi glielo hanno giurato: lo avrebbero cercato ovunque, fino all’inferno. Ad alleviargli la noia interviene Claudia, una madre single (Katarina Cas): “Che ci fai qua?” – “Cerco una nuova vita”. Mentre i concittadini di lei lo coinvolgono nella loro danza tradizionale, lo Schuhplatter, guidati da un simpatico prete (“Fai quel che un prete dice, non quello che il prete fa”). Un giorno, però, per uno scherzo del destino si presenta al Paradise un altro inquilino, che si scopre essere siciliano, e anch’esso di nome Calogero (Giovanni Calcagno): “Io ammazzavo gli animali al mattatoio”. È il killer che lui aveva denunciato. Deve far uso dei consigli di Claudia, a cui aveva chiesto di insegnargli a sparare (“Prima di imparare a sparare devi capire cosa vuoi cacciare”), oppure può trovare la soluzione ai suoi problemi nel libro di Biancaneve che legge via Skype alla figlia del suo agente di sicurezza? Lo scioglimento arriva quando la moglie si presenta nel profondo nord con la figlia. L’incontro è di forte emozione e ha un’alta drammaticità: “Io a Marcella qua non la faccio crescere”. – “Ma io qua posso essere quel che voglio”.
Lo spettatore scoprirà da solo le ultime sorprese che il film riserva, costruito com’è in bilico tra equivoci da vaudeville e tensione da thriller, in cui i toni tragici e commoventi si alternano a quelli più leggeri della tradizione della commedia all’italiana. In conclusione cosa dire? Sicuramente è un’opera da vedere e su cui riflettere. Il regista ha mano ferma nel filmare gli attori – fuori dal comune soprattutto Giovanni Calcagno – e i luoghi, con l’algida bellezza delle montagne del Friuli e della Slovenia. Tuttavia sorge una domanda: è veramente riuscito questo impasto di dramma e commedia? La materia che gli autori maneggiano è così intrinsecamente drammatica che i toni paradossali, quelli della commedia, soccombono sotto l’urto dei fatti che trasformano il riso in dolore. Non si può rimanere immuni dalla sofferenza dei protagonisti e allora resta ben presto l’amaro in bocca per aver gioito pochi minuti prima davanti a una scena comica, mentre subito dopo il film vira verso il tragico. Ecco qui sta il punto, sembra che le parti da commedia risultino posticce, un inserto non pienamente riuscito. Tanto da far sorgere il dubbio che senza di esse avremmo avuto una più che degna opera prima. Per ora il paradiso può attendere.