Lui è Giuseppe Gennuso, condannato pochi mesi fa (anzi ancor di più, ha patteggiato quindi ha ammesso la colpa), dopo che nell’ultimo anno è stato arrestato due volte: la prima per aver comprato i voti dalla mafia, la seconda per aver pagato un giudice per far ripetere le elezioni in poche sezioni (elezioni ripetute e lui che torna in parlamento).
Giuseppe Gennuso era chiamato dai parenti ed amici del capomafia “il santo nostro”. Sì, dicevano proprio così, nelle intercettazioni: “il santo nostro (Gennuso) sta uscendo 50 euro a persona”. Soldi che per i magistrati servivano per pagare i voti.
Ho scritto su Gennuso alcuni articoli d’inchiesta, come quando nel mio libro “Un morto ogni tanto” ho scoperto che nelle sue società i commercialisti sono gli stessi delle società del superlatitante Matteo Messina Denaro.
Oggi lui mi regala una grande medaglia: Gennuso ha inviato alla commissione antimafia regionale un esposto, in cui chiede di indagare su di me.
Lui, condannato, pluripregiudicato, chiamato “il santo nostro” dai parenti dei boss che chiede di indagare su di me. Il tutto mentre – con una condanna per fatti così gravi – siede in Parlamento.
Il mondo che va al contrario: per nascondere le proprie colpe.
Sembra una barzelletta ma è la verità. Ecco dove finiscono i nostri soldi, ecco perché la politica ha perso la credibilità.
Sono disgustato ma contento: per me è una medaglia!
(nella foto Giuseppe Gennuso)