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Il grave errore di sottovalutare il ruolo che ha ancora la tv

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Soltanto dieci, o anche cinque anni fa, o forse tre anni fa ci sarebbero state reazioni durissime della politica, del giornalismo, dell’associazionismo, se un politico, che non è mai stato presidente del consiglio, avesse avuto una sproporzione di presenze televisive a suo favore come quelle che ora vengono certificate per Matteo Salvini.

Secondo i dati ufficiali dell’Agcom nel mese di ottobre Salvini, che è all’opposizione di questo governo, ha quasi doppiato tutti gli altri leader politici per presenze nei telegiornali e nei talk. La classifica è questa:

1) Matteo Salvini con 101 ore e 17 minuti;
2) Giuseppe Conte con 90 ore e 33 minuti;
3) Luigi Di Maio con 36 ore e 46 minuti;
4) Nicola Zingaretti con 29 ore e 11 minuti;
5) Giorgia Meloni con 14 ore e 40 minuti.

Il leader leghista supera di 11 ore il presidente del consiglio – e questo è veramente un dato unico – ma parla oltre il triplo di Nicola Zingaretti e quasi il triplo di Luigi Di Maio, segretari dei partiti al governo.

Sono numeri agghiaccianti che non stupiscono forse chi ha una certa dimestichezza con i media audiovisivi, ma che dovrebbero suscitare un allarme immediato nella stessa authority e in tutta la politica, non soltanto nel governo. Sembrano invece cadere in un disinteresse generale o nella pericolosissima affermazione che tanto la televisione non conta più come prima.

Un ragionamento diffuso soprattutto a sinistra, che, abbinato al ritardo che tutti i partiti, tranne la Lega e i 5 Stelle, hanno sui media digitali, social inclusi ovviamente, costituisce un cocktail micidiale di sottovalutazione del ruolo decisivo della comunicazione per lo sviluppo democratico di un paese.

Se oggi un presidente di una squadra di calcio si permette di dire che Balottelli (un calciatore peraltro forse sopravvalutato) “ è nero ma sta lavorando per schiarirsi” e, come al solito, si fa finta di credere che sia una battuta, è perché non solo sui social ma tanto e soprattutto in TV passa un messaggio che sdogana il razzismo, il maschilismo, l’odio, l’insulto, il rancore.

Possiamo essere certi che un linguaggio come quello leghista non abbia nulla a che spartire con il dato raccapricciante della valutazione degli italiani sugli stupri? Queste domande dobbiamo farcele, per non essere complici di un futuro disastroso.


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