Ciò che sta accadendo a Hong Kong, come ciò che sta accadendo in Iran, dove siamo arrivati alle minacce di morte delle autorità nei confronti dei cittadini che manifestano contro il rincaro della benzina, ci riguarda da vicino. Riguarda la nostra visione del mondo, la nostra concezione della democrazia, il nostro futuro. Riguarda la nostra passione civile e il nostro bisogno di prenderci cura del prossimo, della sua dignità, dei suoi diritti.
A Hong Kong è probabile che la folla abbia esagerato, che gli studenti universitari siano andati al di là del lecito e che ci sia un clima che la piazza non ha contribuito certo a svelenire.
Fatto sta che la reazione di Pechino è eccessiva, smodata, autoritaria, una reazione che ci interroga sul nostro futuro. Perché se l’avvenire è caratterizzato da repressione, imposizioni dall’alto e governi fantoccio, come quello dell’indefinibile Carrie Lam, significa che è il modello occidentale a essere in discussione, l’idea stessa di democrazia liberale, il rispetto dei diritti umani, della libertà di parola e d’espressione, la critica al potere e la possibilità di compierla in sicurezza. Se questi princìpi basilari del nostro vivere civile vengono meno, non sarà possibile tornare indietro, in quanto una vecchia regola dell’economia stabilisce che la moneta cattiva scaccia la moneta buona e che, una volta avvelenati i pozzi e introdotte modalità di governo anti-democratiche, la democrazia sembrerà agli occhi di molti un sistema fragile, inadeguato, incapace di far fronte alle sfide globali che questo secolo ci pone davanti.
Hong Kong, pertanto, dev’essere seguita e raccontata passo per passo, giorno dopo giorno, in maniera chiara e approfondita, concentrandosi non solo su ciò che accade a livello locale ma sulle ricadute che ogni singola vicenda ha, o potrebbe avere, su di noi.
Se Pechino dovesse trionfare, imponendo con la forza bruta la propria distruzione della dignità umana, la stessa America, nel bene e nel male, ci apparirebbe lontana anni luce, soprattutto se guardiamo all’America di Roosevelt e di Kennedy, antitetica al paese arrogante e isolazionista che il trumpismo sta plasmando a sua immagine e somiglianza nonostante la formidabile opposizione di una sinistra, che almeno da quelle parti, esiste, resiste e si manifesta nelle forme migliori.
Hong Kong è lo spartiacque della modernità, il simbolo della rinascita del modello democratico o il punto di non ritorno del medesimo. Al termine di questo scontro senza esclusione di colpi e senza la possibilità che entrambi i contendenti rimangano in piedi, infatti, sapremo cosa ci aspetta. E poiché è impossibile che un universo minuscolo possa sconfiggere un gigante in espansione, è evidente che o l’Occidente assume un’iniziativa immediata e capillare o rischia di essere travolto, nelle sue prospettive e nelle sue effimere certezze.
Hong Kong è imprescindibile: è in gioco la nostra vita, la nostra frontiera, l’esistenza stessa dei nostri ideali. Non c’è nulla di più vicino e decisivo di una carneficina che potrebbe seppellire quel microcosmo in rivolta ma, soprattutto, noi che assistiamo indifferenti a una questione di cui, evidentemente, non comprendiamo fino in fondo l’importanza.
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