La calunnia è un venticello e se spira dalle parti della Regione col più grave propblema di mafia di tutta Europa, allora c’è da preoccuparsi oltremodo. Nel mirino questa volta c’è Paolo Borrometi, Presidente di Articolo 21, vicedirettore dell’Agi, ma soprattutto uno degli oltre venti giornalisti italiani costretti a vivere sotto scorta perché minacciati nell’esercizio della loro professione. Pochi giorni fa il gruppo parlamentare della Regione Siciliana
“Ora Sicilia” ha consegnato un esposto alla Commissione Antimafia dell’Ars con il quale chiede “l’avvio di un’approfondita indagine su episodi che ruotano attorno al giornalista” e nello stesso documento si parla di episodi riferiti a Borrometi “ancora privi di riscontro” nonché ad “altre presunte minacce alla sua incolumità da parte di non meglio precisati ambienti della malavita organizzata… l’impressione è che – affermano i parlamentari – come in tanti sostengono, che tutti questi episodi si inseriscono in un disegno volto a farsi attribuire la scorta”.
Affermazioni che non sono affatto originali e che da sole richiamano, purtroppo, altre storie di criminalità organizzata, buttate lì, nel mucchio, per delegittimare le vittime di mafia, vive o morte che siano. L’obiettivo è sempre lo stesso: minare la credibilità di chi attacca la mafia e renderlo quindi più debole e vulnerabile. Non è stato così per Peppino Impastato? E don Peppe Diana? Di Paolo Borrometi si dice che si sia inventato tutto per farsi dare la scorta! Lo scrivono alcuni parlamentari della Regione Sicilia e, in fondo, prima di loro un ex Ministro aveva già dato la sua versione sull’utilità delle scorte ai giornalisti, a Roberto Saviano in particolare, il quale, casualmente, quel Ministro lo aveva criticato. Una gara piuttosto squallida alla delegittimazione di chi racconta fatti e personaggi scomodi. Ci si potrebbe limitare a dire che gli autori dell’esposto, quantomeno, non hanno letto un po’ di atti giudiziari che in modo chiarissimo e con il supporto di intercettazioni telefoniche indicano per nome e cognome chi voleva far fuori, fisicamente, Paolo Borrometi. La scorta a Paolo Borrometi è stata assegnata dall’apposita commissione che si occupa di questo tipo di minacce. Ipotizzare, anzi affermare, che è tutta una messa in scena non vuol dire solo delegittimare Paolo e le sue inchieste ma equivale a scardinare anche la credibilità e la professionalità dei membri di quella Commissione, ossia di tecnici e funzionari dello Stato che nella vita si occupano di sicurezza. Due sentenze hanno riconosciuto Paolo Borrometi vittima di minacce con l’uso del metodo mafioso. Lo scorso anno una ulteriore inchiesta ha provato l’esistenza di un progetto per attentare alla vita di Borrometi e nella misura cautelare personale applicata agli indagati si legge, tra l’altro, ” Vizzini Giuseppe commentava con i figli le parole di Salvatore Giuliano il quale, forte dei suoi legami con i Cappello di Catania, per eliminare lo scomodo giornalista stava per organizzare un’eclatante azione omicidiaria”. Infine, ma non meno rilevante, uno dei firmatari dell’esposto contro Borrometi, ossia Giuseppe Gennuso ha patteggiato al pena per “traffico di influenze”. E’ credibile un documento di questo tipo? E’ davvero nell’interesse della verità e della giustizia (e della Regione Siciliana) che viene presentato l’esposto, oppure si tratta di un messaggio, di una prova di forza, di una modalità che, purtroppo, si è già vista in passato?
L’Associazione Articolo 21, che da sempre si pone domande, questa volta le formula con più forza perché un attacco al Presidente è, evidentemente, un attacco a tutta l’associazione e a tutti coloro che non si fermano davanti alle storie scomode, neppure se sono storie di mafia.