Firenze, Odeon CineHall – Downton Abbey inizia laddove terminava l’ultima stagione della serie tv, ma non è essenziale conoscere gli avvenimenti trascorsi perché la storia vive di luce propria e lascia ampi spazi alla possibilità di un sequel.
La famiglia Crawley, insieme a tutta la servitù, vive e lavora nella immaginifica tenuta Downton Abbey, circondata da una campagna inglese che riproduce i paesaggi e la luce, talvolta velata di pioggia, dei romanzi vittoriani. Per le riprese sono stati utilizzati interni ed esterni di Highclere Castle, una villa georgiana modificata fra il 1839 e il 1842.
Ci troviamo nell’anno 1927 quando arriva una missiva da Buckigham Palace. La lettera passa di mano in mano fino a che il maggiordomo Thomas Barrow (Robert James Collier) la consegna al Conte di Grantham, Robert Crawley. Il breve, cerimonioso messaggio comunica che re Giorgio V e la famiglia reale, unitamente a gran parte dei domestici d’ogni grado e funzione, faranno visita alla dimora e addirittura vi pernotteranno.
Lo scritto – nero su bianco – sottolinea in maniera inequivocabile l’onore concesso dalla Casa Reale ai proprietari di Downton Abbey nel fermarsi due giorni presso di loro. Tutta la famiglia precipita in un’eccitata confusione e viene letteralmente sorretta dalla pragmatica capacità della servitù nei preparativi necessari a rendere indimenticabile questa straordinaria visita. L’intera cittadina è pronta a vivere e ad assaporare il particolare momento di notorietà, ogni singolo negoziante o artigiano si sente un ingranaggio importante della grandiosa macchina che accoglierà i Sovrani. Lady Mary (Michelle Dockery) per l’occasione chiede al signor Carson (Jim Carter), maggiordomo in pensione, di riprendere temporaneamente servizio, ritenendo ancora immaturo Thomas Barrow per un avvenimento così impegnativo. Lady Violet (Maggie Smith) aspetta con trepidazione l’arrivo di Lady Maud Bagshaw (Imelda Staunton), dama di compagnia della Regina e al contempo cugina di sangue di suo figlio Robert, per poterle parlare finalmente dell’opportunità di nominare erede proprio il suo flemmatico discendente. Maud però non ne vuole sapere, ha già in mente a chi destinare il patrimonio e quando manifesta l’intenzione di lasciare, appunto, ogni proprietà alla sua personale e graziosa cameriera, la famiglia resta basita.
Un imprevisto di non poco conto precede l’arrivo di Re Giorgio V: con maniere rudi e altezzose il personale reale defrauda i dipendenti dei Crawley del piacere di poter servire per una volta Sua Maestà. Camerieri, cuoca e maggiordomo reagiscono dapprima con una sorta di paralisi interiore che sembra rendere impossibile la ribellione a cotanta arroganza. Ma i festeggiamenti non possono assolutamente cominciare con un tale sopruso, quindi i domestici dei Crawley decidono che non si faranno mettere i piedi in testa, dando così inizio a “la guerra”. Tra le cucine e i sotterranei della villa, Anna (Joanne Froggatt) e John Bates (Brendan Coyle) escogitano un piano per riconquistare la propria posizione nella cornice dell’evento memorabile e restituire l’onore perduto a tutta Downton. Tutti per uno e uno per tutti. Con quattro mosse astute eliminano chef, maggiordomo e servitù reale. Il risultato ottenuto dall’irriducibile staff è esaltante; con soluzioni dinamiche, operose e sistematiche, la loro solerzia induce il Re ad esprimere un sincero apprezzamento fuori da ogni etichetta.
L’antica dimora e il parco, l’eleganza abbagliante degli arredi e degli abiti disegnati da Anna Mary Scott Robbins – pur nell’intima corrispondenza a un ideale di decoro -, i dettagli dickensiani che illuminano i locali e le schermaglie della servitù, la misura sarcastica, wildiana, delle battute di Lady Violet (si avverte l’eco di Gosford Park), le storie d’amore che arrivano inaspettate e coinvolgono con la loro freschezza esitante e appassionata, si aprono come lagune accoglienti di memoria letteraria e storica, prendendo la forma di studiate digressioni nel pathos collettivo – un fervore ininterrotto che anima tutti i personaggi – capace di imprimere al film un ritmo concitato e polifonico da composizione rossiniana.
Downtwon Abbey ci riporta in tempi e luoghi dell’immaginario che aderiscono al ricordo delle case del nostro lontano passato, impregnate di sentimenti e profumi buoni e antichi, solo in apparenza perduti. E’ lì che qualcuno ci ha insegnato a saper cogliere un animo gentile nei modi cortesi di una persona. Lì abbiamo appreso che lo spazio fisico e mentale costituito da un tetto, delle mura, una pavimentazione, può celare l’esistenza di piccoli ripostigli bui la cui sostanza sottile continua nel tempo ad aderire su di noi, come una seconda pelle.