Dalla civiltà del diritto alla civiltà dell’odio: le “sardine” si ribellano

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La civiltà del diritto sembra trasformarsi sempre più in “civiltà” dell’odio il cui virgolettato diventa necessario per evidenziare la distanza da quella dell’incitamento all’odio, alimentato e diffuso tramite i social network che garantisce il diritto all’anonimato. L’enciclopedia Treccani definisce civiltà «la vita materiale, sociale e spirituale di un popolo. Il concetto di civiltà è estremamente complesso e sfaccettato, ed è usato in una molteplicità di accezioni. In un’accezione più ampia, che rifiuta una distinzione tra società ‘arretrate’ ed ‘evolute’, il concetto di civiltà abbraccia tutte le manifestazioni di vita di un popolo o di un insieme di popoli in un particolare periodo della loro evoluzione o nell’arco complessivo della loro esistenza». L’Italia appare sempre più vittima e allo spesso tempo carnefice di se stessa e l’ incitamento all’odio si diffonde come un virus inarrestabile e resistente tanto da far dire allo psichiatra Vittorino Andreoli: «la violenza diventa un linguaggio per compensare le frustrazioni, perché bisogna tenere conto che, se in questa società conta il potere, il potere di avere le cose, ebbene c’è anche un potere nel distruggerle e in questo modo si riesce a dominarle». Il ragionamento di Andreoli è lineare: dalla frustrazione si passa alla rabbia per sfociare infine alla violenza. Preoccupante se agita in termini di azioni fisiche ma altrettanto grave se alimentata tramite il linguaggio spesso aberrante esercitato sulla rete con l’intento di esprimere e diffondere sentimenti di odio ed intolleranza. Infondere nel pensiero comune un pregiudizio intriso di sentimenti di paura verso gli altri (che siano stranieri, emigrati, per colore della pelle, per identità di genere non fa differenza).

Lo psichiatra e scrittore prosegue: «in Italia il livello di civiltà è disastroso, siamo regrediti alla cultura del nemico». A recepirlo come fenomeno deviante di una società incapace di possedere gli anticorpi per contrastarlo sono i giovani che hanno dato vita al movimento delle “sardine”, divenuto un caso nazionale capace di diffondersi in tutte le città, partendo da Bologna per estendersi da nord a sud. Le analisi politiche si sprecano per cercare di catalogare e ascrivere il tutto ad un preciso intento politico, cosa più sbagliata pensarlo quanto riduttiva a fronte di una reazione dove, al contrario, è fondamentale riconoscere un bisogno di esprimersi con forme di partecipazione collettiva a fronte di un disagio evidente. Un risveglio delle coscienze sopito da lungo tempo dove l’opinione pubblica ha vissuto uno stato di letargia, complice un’assuefazione causata da decenni di televisione capace di appiattire ogni forma di ragionamento. Il fenomeno delle fake news che imperversa e contamina il pensiero comune. «Perché noi giovani siamo davvero stanchi di una comunicazione politica basata sull’odio. E parlando con gli altri ragazzi ci siamo accorti che questo tipo di pensiero stava finendo per infettare anche noi, la nostra generazione». A spiegarlo sul sito Open (fondata da Enrico Mentana) è Joy Temiloluwa, una delle organizzatrici della manifestazione di Parma, insieme a Martino Bernuzzi e Francesco Martino, entrambi di 17 anni. «Noi giovani dobbiamo agire adesso per non lasciare il nostro futuro nelle mani di chi semina odio e violenza» – spiega nell’intervista – con la chiarezza di chi ragiona con un pensiero scevro da sovrastrutture ideologiche, e alla domanda del perché abbiano deciso di farlo, la risposta data è quanto di più esemplificativo nel comprendere il loro intento: «quando abbiamo scoperto il movimento delle sardine, abbiamo capito che era la nostra occasione per fare qualcosa. Non dobbiamo subire la politica, così lasciamo il nostro futuro nelle mani di chi semina odio. Dobbiamo agire ora, poi sarà troppo tardi».

Non dobbiamo subire la politica spiega bene cosa desiderano i giovani: viverla in prima persona ma tocca poi alla politica (chi la esercita per professione ) farsi carico e dare risposte convincenti a chi vorrebbe vivere in un paese dove sia possibile ancora confrontarsi con il dialogo, con la possibilità di costruire e non distruggere. Gli organizzatori dell’appuntamento “Roma non si lega”, previsto il 12 dicembre prossimo scrivono su facebook: «è tempo di reagire a questo modo di fare politica, una retorica vuota e senza empatia che alimenta la divisione e fonda il proprio messaggio sull’odio verso il prossimo». L’odio viene definito dallo psicologo Robert Sternberg come qualcosa di “freddo” e “caldo”, dove il primo porta a respingere con reazioni scomposte chiunque venga percepito come diverso e il secondo è alimentato dalla rabbia (a conferma di quanto sopracitato da Vittorino Andreoli) che sfocia in reazioni aggressive e violente. I social sono l’incubatore di commenti in cui si augura la morte ai clandestini che attraversano il Mediterraneo; agli omosessuali che cercano di far rispettare i propri diritti civili. La mancanza di empatia è una forma di patologia sociale a cui gli italiani sembrano colpiti. L’incapacità di prestare attenzione ad un’altra persona, prendendosene cura ed evitando di occuparsi solo di se stessi: in altri termini evitando il proprio narcisismo nel credere di mettersi sempre davanti agli altri. La frase che sentiamo spesso ripetere “prima gli italiani” rispecchia questo modo di vedere le cose. Italiani la cui dimostrazione plastica di non possedere rispetto per il prossimo è comprovato da episodi di discriminazione, intolleranza e razzismo.

Lo scrive Paolo Berizzi su Repubblica per annunciare la rubrica “Piovono pietre” in cui verranno segnalati gli insulti e le parole d’odio pubblicate sui social: «il mondo nero del razzismo, dell’antisemitismo, dei rifugiati fascisti e nazisti. Le derive del bullismo politico e le discriminazioni sessiste. L’esplosione della violenza verbale e fisica. I manganellatori della Rete e i fomentatori dei rancori. Un odio che spurga dalle viscere di una società avvelenata». L’augurio è che le “sardine”, notoriamente una specie di pesce azzurro di ottima qualità nutrizionale, siano capaci di disintossicare e riportare la civiltà a quel progresso così faticosamente conquistato nei secoli.


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