Bolivia, analisi postelettorale: Morales al bivio

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La sera di domenica 20, lo spoglio delle schede elettorali relativo al primo turno di votazione in Bolivia, venne misteriosamente sospeso.

Si affrontavano Evo Morales, candidato per la quarta volta alla presidenza, e il suo principale oppositore, l’ex presidente Carlos Mesa.

Lunedì, alla ripresa del conteggio, Morales risultò vincitore su Mesa per circa dieci punti in percentuale, 47% contro 36,5%. Le proteste orchestrate dall’opposizione, esplosero violente, e i manifestanti, concentrati soprattutto a La Paz e Santa Cruz, appiccarono il fuoco a diversi seggi elettorali, sradicando senza tanti complimenti la statua eretta alla memoria di Hugo Chávez proprio nella capitale governativa La Paz (Sucre è quella legislativa).

Morales in un primo tempo si astenne però dall’ufficializzare la vittoria, proprio per evitare che i disordini degenerassero come successe in Ecuador, quando otto indios furono uccisi dalla polizia mentre la capitale Quito era sotto assedio, fatto che esacerbò la rabbia dei dimostranti, costringendo così il presidente Lenin Moreno a una poco dignitosa fuga verso Guayaquil. Venerdì 25 ottobre, il Supremo Tribunale Elettorale ha decretato la vittoria di Evo, scatenando la rabbia di Mesa che ha denunciato frodi a suo dire perpetrate nei seggi, sostenendo che oltre 100.000 voti fossero stati contraffatti. Con quegli scarti di percentuale, l’aspirante alla successione vedeva sfumare il sogno di accedere al secondo turno di votazioni.

Da notare che martedì dopo le prime proteste, il ministro degli Esteri aveva avanzato richiesta ai vertici OAS di Washington (Organizzazione degli Stati Americani) di venire in Bolivia per verificare se ci fossero state violazioni da parte degli scrutinatori.

Manuel González, capo della delegazione OAS di controllo, accettò l’invito, lamentando in seguito mancanza di chiarezza “difficile da spiegare” senza però fornire alcuna prova concreta se ci fossero state o meno violazioni palesi: https://www.theguardian.com/world/2019/oct/25/bolivia-evo-morales-narrowly-wins-fourth-presidential-term

Sta di fatto che continuano senza sosta le proteste a La Paz e Santa Cruz (dove lo sciopero generale ha raggiunto ormai il 12° giorno consecutivo) contro le presunte frodi elettorali.

Si registrano già le prime vittime: a  Montero, proprio nella provincia di Santa Cruz, due persone sono rimaste uccise durante gli scontri tra opposte fazioni pro e contro Morales.

La OAS inizierà nei prossimi giorni la revisione delle schede, al termine della quale deciderà se consigliare o meno un secondo turno elettorale che invaliderebbe la vittoria di Morales.

https://www.bbc.com/news/world-latin-america-50248739


13 anni di socialismo indigeno

 

“Dopo 13 anni, i boliviani sono più sani, hanno più soldi, vivono più a lungo e sono meglio istruiti, oltre ad avere più diritti civili e meno dislivelli sociali di qualsiasi periodo precedente nella storia del Paese”. https://www.washingtonpost.com/world/the_americas/unrest-erupts-in-bolivia-as-opponents-accuse-evo-morales-of-trying-to-steal-election/2019/10/22/214d85f2-f4d4-11e9-b2d2-1f37c9d82dbb_story.html Non lo scrive il Granma (organo di stampa del PCC, Partito Comunista Cubano) né lo afferma Telesur, la televisione di Caracas che sostiene il presidente Maduro, bensì lo riconosce il Washington Post, uno dei quotidiani di punta statunitensi dopo USA Today e il New York Times, in genere mai teneri nei confronti dei governi sudamericani ostili all’amministrazione USA.

D’altra parte, i risultati ottenuti dal Movimento per il Socialismo (MAS) di Morales e del suo vicepresidente Álvaro García Linera, soprattutto con la diminuzione della povertà in Bolivia, (dal 59% del 2006 al 36% dello scorso anno) sono sotto gli occhi di chi vuol vedere. Così come il tasso di crescita economica, attestato da un PIL in aumento del 4,5% dal 2018, contro un’inflazione ferma al 1,5%.

https://es.m.wikipedia.org/wiki/Econom%C3%ADa_de_Bolivia

Ciò non toglie che il suo leader abbia ignorato un referendum popolare pronunciatosi contro il suo quarto mandato, appellandosi alla Corte costituzionale per l’annullamento di tale restrizione, con la motivazione di voler tutelare i suoi diritti.

Un’altro fattore che ha contribuito a intaccare la popolarità di Morales è quello degli incendi che hanno distrutto 4 milioni di ettari nel Sud-est della Bolivia causati, secondo le accuse, dal decreto governativo che ha quadruplicato i permessi rilasciati alle aziende agricole per deforestare ai fini delle coltivazioni.

Non è un caso che a Santa Cruz, la città principale del Sud, l’opposizione abbia riscosso il successo maggiore, memore dei roghi che avevano distrutto larghi settori della foresta pluviale nel dipartimento del Beni.

È comunque paradossale che per questa questione, l’ultimo esponente del socialismo andino sia accomunato proprio al suo nemico per antonomasia, il presidente Bolsonaro, punto di riferimento dell’estrema destra in Brasile.

https://www.bbc.com/news/world-latin-america-50055725

A tal.riguardo, non bisogna comunque dimenticare che fu proprio Morales a concedere a Bolsonaro l’estradizione del terrorista Cesare Battisti, arrestato in Bolivia dopo la sua fuga dal Brasile.

Il presidente brasiliano lo consegnò poi al governo italiano.

 

Indios, ago della bilancia

Bolivia ed Ecuador, a differenza degli altri stati latino-americani dove la presenza indigena non è determinante per gli equilibri politici, hanno proprio negli indios l’ago della bilancia.

In Bolivia sono metà della popolazione, e in Ecuador, anche se gli indigeni puri incidono meno del 10% nella ripartizione demografica, sono comunque assai agguerriti, come hanno dimostrato le rivolte contro i folli aumenti del carburante decisi da Moreno per compiacere FMI, ma ritirati dallo stesso dopo le pressioni dei dimostranti.

In Bolivia, lo scontro non è solo tra capitale e socialismo, ma anche all’interno delle comunità indigene che considerano gli Aymara (l’etnia di Morales, che con i Quechua superano il 50% nella popolazione boliviana) privilegiati rispetto agli altri gruppi.

E gli stessi Aymara cominciano a stancarsi del proprio leader.

Non sono solo gli incendi, o le forzature costituzionali che incidono a sfavore: purtroppo anche l’attività estrattiva, pur se controllata a livello ambientale dallo Stato più che in altri paesi, intacca comunque la salute del sottosuolo, mentre a Uyuni i cinesi nelle saline compiono abusi continui a livello di orari di lavoro non rispettati e aumenti salariali non riconosciuti. Non manca anche una bella dose di egoismo indigeno “borghesizzato” se mi si perdona il riferimento anni ’70, specie nella gestione delle cooperative minerarie, i cui responsabili si trasformano spesso in una sorta di “padroncini” che all’interesse collettivo antepongono di frequente l’arricchimento individuale.

Però, nonostante queste stridenti contraddizioni, il socialismo indigeno è un patrimonio dell’America Latina che va difeso comunque, e rimane l’ultima trincea nel percorso andino, dopo il tradimento perpetrato da Moreno nei confronti della Revolución Ciudadana in Ecuador. Risollevare le sorti di un paese così povero come era la Bolivia ante Morales, e’ stata un impresa che a mio parere concede perlomeno attenuanti generiche alla forzatura istituzionale di cui il suo artefice si è macchiato. Auguriamoci che Linera, da sempre suo consigliere, riesca a rimettere la situazione in carreggiata.

Prima che sia troppo tardi.

https://www.reuters.com/article/us-bolivia-indigenous-specialreport-idUSKCN1L913T

 

Le stridenti contraddizioni

Intanto la minoranza bianca che vive nei quartieri residenziali di San Miguel a La Paz, soffia sul fuoco dei disordini elettorali ma si illude, se pensa di tornare ai tempi di quando Che Guevara fu assassinato.

Oggi Il Movimento Indigenista – avallato proprio da un bianco, il  vicepresidente Garcia Linera – è forte sia politicamente che economicamente.

E spietato, a volte anche nei confronti dei suoi stessi rappresentanti.

Difatti, durante lo sciopero delle miniere nel 2017, i minatori linciarono  il ministro dell’Interno inviato da Morales perché non aveva saputo mediare tra le parti in conflitto. Tuttavia, come già scritto, lo sfruttamento dei minatori parte proprio dalle cooperative che dovrebbero tutelarli, e dai cinesi che controllano le saline di Uyuni dalle quali si estrae il litio per le batterie.

Con Cile e Argentina, la Bolivia è sul podio della produzione mondiale.

Quest’ultima è però legata all’estrazione cinese e alla tecnologia tedesca che fornisce il know-how. A fare da sola ci ha provato a lungo, invano.

Più che da Washington, Morales e Linera devono piuttosto guardarsi dai loro nemici interni, per non fare la fine di Correa che ha lasciato incautamente spazio a uno come Moreno.

ll neoliberismo sta di nuovo affliggendo l’America Latina, ricattata tra l’altro dai piani di austerity del FMI.

Lo dimostra l’Argentina, dopo quattro anni di “cura Macri”, l’Ecuador che sta vedendo sfumare i progressi registrati sotto Correa, la Colombia che con il nuovo presidente Iván Duque Márquez vede seriamente a rischio il processo di pace con le FARC voluto dal suo predecessore Santos, ed infine il Cile, stravolto dagli incendi dolosi appiccati da estremisti molto sospetti, e dalla repressione sanguinosa della polizia che con arresti di massa, omicidi e sparizioni di oppositori, rischia di riportare il paese ai tempi cupi di Pinochet.

Per cui dopo di loro, il diluvio.

 

(Flavio Bacchetta text & photo copyright – Un articolo similare dello stesso autore, è stato pubblicato nei giorni scorsi da il Fatto Quotidiano online)

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/28/argentina-e-ecuador-sono-negli-artigli-del-condor-ora-la-bolivia-e-lultima-trincea/5536570/

 https://www.amazon.it/Paradisi-infernali-Quello-guide-raccontano/dp/8899878455?SubscriptionId=AKIAIHZ5B56LBQUMFGSQ&tag=wwwilfattoquo-21&linkCode=xm2&camp=2025&creative=165953&creativeASIN=8899878455


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