Nelle ultime settimane, in Somalia, lo Stato centrale regionale dell’Hirshabelle – composto dalle regioni di Hiraan e di Shabelle – è stato colpito, dopo mesi di siccità, da piogge torrenziali che hanno determinato una catastrofe umanitaria con oltre duecentosettantatremila sfollati e una decina di morti. L’esondazione del fiume Shabelle ha danneggiato case, coltivazioni e infrastrutture devastando ogni forma di attività economica mentre l’ospedale di Beledweyne, capitale dell’Hiraan posta a ovest di Mogadiscio, è stato chiuso. Purtroppo, però, quanto adesso accaduto era ampiamente previsto.
Già l’anno scorso la città di Beledweyne aveva subito una violenta inondazione e l’Italia aveva stanziato 6 milioni di Euro nel bilancio del 2019 per la ricostruzione dei vecchi argini del fiume privi di manutenzione nei trent’anni di guerra civile seguita alla caduta del Generale Siad Barre.
Sin dal 2018, dunque, il progetto doveva essere redatto dalla FAO in collaborazione con lo Stato regionale Hirshabelle e presentato all’Italia dal governo centrale federale in persona del Ministero dell’agricoltura somalo ma lo scorso luglio, dopo il varo del “decreto missioni”, la Cooperazione allo sviluppo ha tagliato 6 milioni di fondi per la Somalia, cioè proprio a ridosso dei giorni in cui il Ministro per l’agricoltura e l’irrigazione somalo, Said Hussein Iid, era a Roma per l’elezione del nuovo Direttore Generale della FAO.
Adesso, appena dopo l’alluvione dei giorni scorsi, la FAO ha spedito per il concerto la bozza di progetto al Governatore di Hirshabelle Mohamed Abdi Ware il quale, da noi raggiunto al telefono, ha confermato la ricezione del documento, ma ha detto di non sapere nulla del taglio dei fondi italiani che, per lui, sono sempre disponibili in base alle informazioni ricevute due mesi fa.
Abbiamo allora chiamato il Ministro dell’agricoltura Said Hussein Iid che ha elogiato il buon lavoro dell’Italia in Somalia, ma anche per lui i fondi non sono stati tagliati perché, in base ad un incontro con il comitato di crisi per l’alluvione della scorsa settimana, l’Italia ne ha confermato la disponibilità.
Un colloquio telefonico che abbiamo avuto a Roma ha confermato che i fondi per la ricostruzione degli argini del fiume Shabelle ci sono, ma si trovano nella previsione di spesa per il 2020.
Se la matematica non è un’opinione, i 6 milioni di fondi per la ricostruzione dello Stato di Hirshabelle del 2019 sono andati perduti nell’inconsapevolezza delle autorità somale di cui porta la maggiore responsabilità il Ministro dell’agricoltura per non aver presentato tempestivamente il progetto.
Un approfondimento ha portato ad accertare che non è la prima volta che fondi destinati alla Somalia non vengono spesi per i ritardi nella messa a punto dei progetti e questi ritardi sono principalmente dovuti all’assenza di accordi bilaterali diretti tra Italia e Somalia che non sono stati ancora ripristinati dopo la caduta di Siad Barre. Vani sono sin qui risultati i tentativi della Somalia in questa direzione.
Per sostenere i progetti allo sviluppo somalo l’Italia, attualmente, passa attraverso un ente terzo (FAO, ONU, IFAD, etc.). Di qui il dilatarsi della burocrazia che impedisce alla Somalia di conoscere direttamente la generosità dell’Italia con ripetute perdite dei contributi necessari ad alleviare i gravi patimenti della sua popolazione.
Se queste difficoltà potrebbero essere in gran parte superate con la stipula degli accordi diretti bilaterali, più difficile sarebbe superare un altro problema che spesso si presenta in questi casi: la scelta delle imprese appaltatrici. Ma qui la questione non è né diplomatica, né legislativa. Né, ahimè, circoscritta ai soli rapporti tra Italia e Somalia.