di Aldo Rizzo
I miei primi incontri con Cesare Terranova risalgono ai tempi in cui ero uditore giudiziario al Tribunale di Palermo. Allorché fui assegnato all’ufficio di istruzione per compiere il tirocinio, chiesi di lavorare con Cesare Teranova, che già conoscevo per fama.
Mi aspettavo un magistrato duro, severo, poco incline al dialogo ed invece venne fuori, sin dai nostri primi incontri, l’immagine di un uomo aperto, dotato di grande umanità, pronto alla discussione. Trovai in Cesare Terranova un uomo giusto, leale, comprensivo con i deboli, inflessibile con i potenti e un sincero amico, disposto a dedicare parte del suo tempo prezioso per trasmettere a me uditore l’alto concetto che egli aveva del la funzione del giudice.
I nostri contatti si diradarono allorché egli lasciò l’ufficio di istruzione di Palermo per ricoprire l’incarico di Procuratore della Repubblica a Marsala.
Ripresi a frequentare Cesare Terranova quando egli fu eletto al Parlamento e svolse un ruolo di primaria importanza nella Commissione giustizia della Camera dei Deputati e nella Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia.
Era il Cesare di sempre. Volle numerosi incontri con me e con altri magistrati per sentire il nostro parere su
sue proposte, su sue iniziative parlamentari che erano sempre nel senso di garantire al massimo la credibilità e l’efficienza delle Istituzioni, e della Magistratura in particolare, e di assicurare, nel più ampio rispetto dei diritti di libertà dei cittadini, la capacità dello Stato a com battere tutte le pili gravi forme di criminalità, prima fra tutte la mafia.
Nei tanti discorsi che avemmo, affiorava spesso in Cesare Terranova una preoccupazione che i tempi si sono incaricati di dimostrare quanto fosse fondata. Egli aveva netta la consapevolezza che la mafia, se non fosse stata prontamente ed adeguatamente affrontata, ogni giorno di più avrebbe aumentato le dimensioni delle sue attività, dei suoi interessi, la sua penetrazione nei settori più delicati della vita economica ed istituzionale, avrebbe aumentato il suo potenziale criminoso, la sua tracotanza sino al punto di sfidare lo Stato in tutte le sue articolazioni.
Una preoccupazione che egli manifestò in Parlamento innanzitutto. Ma il suo monito rimase inascoltato come se non fosse la meditata riflessione di chi aveva una profonda conoscenza del fenomeno mafioso, e una chiara percezione della sua pericolosità, attraverso la notevole esperienza che aveva maturato con l’istruzione di numerosi e gravosi processi di mafia.
A me che adesso ripercorro quella strada che fu la sua, è dato di constatare, di toccare con mano, quanto
sia stata notevole l’impegno profuso in Parlamento da Cesare Terranova, quanto fosse grande la sua sete di giustizia, quanto egli abbia lottato, anche in quella sede, con fermezza, lucidità e concretezza di proposte, per richiamare l’attenzione del Parlamento e del Governo sulla gravità e pericolosità del fenomeno mafioso.
Per questo suo impegno Cesare Terranova è stato ucciso.
La mafia lo ha vilmente e barbaramente assassinato perché era un simbolo, un chiaro punto di riferimento per chi crede nei valori della giustizia, per chi non si rassegna a considerare la cancrena mafiosa un male inestirpabile della nostra terra di Sicilia. Ed era un simbolo perché la sua era una battaglia solitaria, portata avanti nella completa inerzia e indifferenza di chi aveva re sponsabilità di governo.
A tutti noi che gli fummo vicini, che crediamo nei va lori di libertà e democrazia e nel riscatto morale della nostra isola, non rimane che un preciso dovere: quello di continuare il suo lavoro, con la stessa tenacia, con lo stesso vigore.
Questo è il modo migliore di onorare la memoria di Cesare Terranova, e, con la sua, quella di Giuliano, di Russo, di Basile, di Costa, di Mattarella; di La Torre, di Dalla Chiesa e di tutti coloro che hanno pagato con
la vita il loro impegno contro la mafia, al servizio del popolo siciliano