In tremila hanno manifestato per il loro diritto ad essere lavoratori normali e non schiavi. I braccianti indiani dell’agro pontino sono tornati in piazza della Libertà, nome evocativo dell’indirizzo della Prefettura di Latina, dove avevano fatto sentire la loro voce già nell’aprile del 2016 per uno sciopero che poi ebbe un peso e un ruolo nell’approvazione della prima legge contro il caporalato. Questa volta il sit in, che si è tenuto lunedì 22 ottobre, è stata la reazione ad un fatto di cronaca gravissimo che ha visto come protagonista l’imprenditore di Terracina Alessandro Gargiulo, arrestato perché usava le armi per costringere i suoi dipendenti a turni massacranti sui campi. In pochi giorni i sindacati nazionali di categoria hanno organizzato la manifestazione per ribadire la necessità ineludibile di applicare finalmente regole e controlli nel mondo dell’agricoltura pontina, seconda voce del pil di quella provincia. All’iniziativa c’erano tantissimi immigrati, una folta rappresentanza di sindacati confederali, buona parte dei politici del centrosinistra e ad aprire gli interventi in piazza è stato Marco Omizzolo, il sociologo che per primo ha sollevato il velo sulla condizione di sfruttamento di oltre dodicimila braccianti, un fenomeno che va avanti da oltre dieci anni e che fonda sull’omertà e sugli scarsi controlli ma che si regge anche sulla presenza di una evidente agromafia e sull’uso di droghe per combattere la fatica. Un gruppo di sindacalisti e rappresentanti dei braccianti è stato ricevuto dal Prefetto che ha dato il via ad una piattaforma in tre tappe: condivisione del problema con la sede Inps di Latina, accelerazione dell’iter per i permessi di soggiorno inerenti in contratti a termine la cui lentezza indirettamente sta favorendo i rapporti di lavoro irregolari e la richiesta di una sanatoria al Governo nazionale. Il capo della comunità sikh del Lazio ha invitato i braccianti a denunciare i soprusi e ad avere fiducia nelle forze dell’ordine superando appunto le intimidazioni dei caporali.