BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Strage di Bologna: la condanna non convince

2 0

La lettura della recente pubblicazione per Chiarelettere del libro Italia Occulta dell’ex magistrato Giuliano Turone mi ha indotto a rivedere con occhio “da avvocato” le motivazioni della condanna di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (e del minorenne Luigi Ciavardini con separato processo) per quella che è stata la più sanguinosa strage della storia italica, in merito alla quale, peraltro, è attualmente in corso a Bologna la celebrazione di un nuovo processo a carico dell’ex militante NAR Gilberto Cavallini.

La conclusione, lo si anticipa subito, è che non siano stati condannati i veri colpevoli, i quali pertanto, ed è questo l’aspetto più inquietante, sarebbero andati impuniti.

 

Il tortuoso percorso processuale

Il processo di primo grado si concluse con la Sentenza 11 luglio 1988 di condanna di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro che la Corte di Appello riformò, con Sentenza 18 luglio 1990, assolvendoli, ma il 12 febbraio 1992 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione annullarono l’assoluzione e la nuova Corte di Appello, con Sentenza 16 maggio 1994, condannò gli imputati e sarà quest’ultima a diventare definitiva con Sentenza della Cassazione 22 novembre 1995.

Luigi Ciavardini, minorenne all’epoca dei fatti, venne invece assolto in primo grado con Sentenza 30 gennaio 2000 e condannato in Appello con Sentenza 9 marzo 2002, ma la Cassazione annullò l’assoluzione con Sentenza 17 dicembre 2003 rinviando all’Appello che con Sentenza 13 dicembre 2004 condannò Ciavardini e sarà quest’ultima a diventare definitiva con la Sentenza della Cassazione 11 aprile 2007.

Già questo iter altalenante di decisioni opposte da parte di diverse Corti di Assise, sulla cui “ragionevolezza” non è dato di dubitare, pare incrinare, come nel caso della controversa Sentenza sull’omicidio Calabresi, quel principio cardine di assenza di dubbio per pervenire a condanna che sorregge l’art. 533 del codice di rito.

 

Premessa

Prima di affrontare la disamina degli indizi, ritenuti da Turone comprovanti la penale responsabilità degli imputati, occorre però muovere da sette dati su cui il libro, come peraltro la Sentenza di condanna, poco si sofferma.

1) Non c’è prova alcuna della presenza fisica degli imputati a Bologna il 2 agosto 1980

2) Non risulta accertato alcun loro movente alla strage (franata miseramente, con l’assoluzione di tutti gli altri, l’iniziale ipotesi di un grande piano eversivo delle destre estreme riunite sotto l’egida di servizi deviati e piduisti vari)

3) La modalità delinquenziale del 2 agosto risulta storicamente del tutto estranea alla corrente pratica guerrigliera fino a quel momento posta in essere dai NAR (e dagli imputati) e a quella del successivo prosieguo di un attivismo armato micidiale e talvolta persino scomposto durato parecchi anni, dalla fondazione risalente al finale del 1979, fino all’arresto degli ultimi militanti nel finale del 1983 (con Fioravanti e Mambro detenuti da tempo).

4) Tutti i nominativi dei coimputati originariamente accusati di concorso con i tre condannati non risultano avere mai avuto a che fare con la storia dei NAR, i quali anzi, proprio in esplicitato dissenso con costoro, ebbero ai tempi a dare inizio alla loro ben diversa storia per unanime racconto di chi c’era all’inizio e di chi si è aggregato dopo. E questo vale tanto per i soliti noti dei tanti italici misteri (vd. Gelli e servizi deviati), quanto per vari i dirigenti di Ordine Nuovo prima e Terza Posizione poi, nemici giurati sia prima che dopo la strage del 2 agosto, dei NAR.

5) Eppure, anche in questa vicenda, come in tutte le stragi impunite di quegli anni, interviene un ennesimo clamoroso caso di depistaggio, accertato con sentenza definitiva del 1995 di condanna per calunnia di Gelli, Pazienza, Musumeci e Belmonte a seguito del ritrovamento sul treno del 13 gennaio 1981 di false prenotazioni aeree di Fioravanti e di armi di provenienza della “galassia nera”.

6) Il fratello Cristiano, che ha condiviso sin dall’inizio la storia di Valerio, seppur distaccandosene a un certo punto prima di riprenderla fino alla sua cattura (successiva a quella di Valerio e precedente a quella della Mambro), si è subito pentito rivelando ogni misfatto del fratello e dei NAR, anche quelli saputi de relato, ma non ha mai detto di avere neppure lontanamente immaginato che il fratello c’entrasse in alcun modo con il delitto più grave ed eclatante della storia di Italia oltre che, come detto nel punto 3), del tutto anomalo per l’organizzazione armata di cui egli a pieno titolo faceva parte. Né prima né dopo (il suo arresto è a metà del 1981), e questo “dettaglio” sempre il Cristiano, non l’avrebbe appreso neppure da quello che era una sorta di suo padre adottivo (Massimo Sparti) che sarebbe stato invece l’unico, secondo la sentenza di condanna, ad averlo saputo, e su cui si tornerà, trattandosi anche dell’unico teste di accusa.

7) Nessun militante o anche solo contiguo ai NAR ha mai riferito, neppure a distanza di anni, di avere saputo alcunché su Bologna, e neppure uno dei tanti pentiti che grazie a tale rivelazione avrebbe potuto conquistare sensibili benefici in termine di pena, eccettuato appunto lo Sparti.

A tali premesse (non di poco momento), va aggiunto l’ulteriore dato secondo il quale, a fronte di ripetuti ergastoli comminati per una serie di omicidi confessati dai due imputati, l’aggiunta della condanna in oggetto non ha comportato (e ben si sapeva che non lo avrebbe comportato!) nessun concreto effetto dal punto di vista giudiziario a carico di costoro, per cui trattasi di condanna “a costo zero”, perfettamente adatta a venire incontro alla comprensibile esigenza collettiva di non mandare impunita l’ennesima strage italiana, la più sanguinaria e successiva di soli due mesi alla tragedia di Ustica.

 

E ora veniamo ai singoli elementi valorizzati nel libro, seguendo l’ordine di esposizione e indicando la pagina.

 

  • Presilio/Rinani (pag. 285)

 

La prima dichiarazione di Presilio al Magistrato di sorveglianza di Padova risale, si legge, al 10 luglio 1980 ed è un de relato di un detenuto (di cui non rivela il nome) che gli avrebbe parlato di un progetto omicidiario di un giudice di Treviso, tale Sriz, che sarebbe stato preceduto da un altro grave delitto compiuto “dalla medesima organizzazione” che avrebbe “riempito le pagine dei giornali”. Qualche giorno dopo la strage dirà che trattavasi di un tale Rinani, legato al noto gruppo veneto di Freda, Ventura e Fachini e solo il 13 novembre aggiungerà che le frasi del Rinani risalivano al giugno-luglio e che costui era furioso perché non otteneva la libertà pur essendosi costituito e infine, in altra e ultima dichiarazione, specificherà meglio che il Rinani solo in un secondo incontro in carcere gli avrebbe parlato anche del fatto grosso “di cui rideranno insieme”.

Ora, aldilà di queste dichiarazioni generiche (qualsiasi omicidio finisce sui giornali, non necessariamente una strage in stazione, anche quello di un giudice di Treviso, per dire) e mai confermate dal Rinani, resta il fatto che la medesima organizzazione significherebbe che a giugno del 1980 Fioravanti avesse programmato anche (e soprattutto) l’omicidio del giudice Sriz di Treviso, che era l’argomento centrale del Rinani, e che al contempo tutti gli altri membri di quella medesima organizzazione indicata dal Rinani, che operava proprio nel veneto (Fachini) e quindi più interessata alle sorti del Giudice Sriz rispetto ai NAR che con quel giudice non c’entravano nulla, non avessero invece in mente niente, visto che dopo essere stati a diverso titolo e in diverso momento incriminati, tutti gli altri coimputati di Fioravanti e Mambro sono stati tutti assolti, come riporta la nota 3. Il primo indizio pertanto mostra talmente poco pregio che neppure la sentenza di condanna lo valorizza.

 

  • Massimo Sparti (287)

 

Sparti invece è il caposaldo dell’accusa, perché come anticipato è l’unico di tutta la galassia nera che circondava gli imputati (pentiti e non pentiti) che avrebbe saputo a Roma da Fioravanti in persona due giorni dopo l’attentato che la bomba l’avrebbero messa lui e la sua donna, persona della quale fino a quel momento Sparti ignorava l’esistenza, e che, proprio in quella occasione, aveva deciso di presentargli.

Su questo indizio (cardine), per prima cosa va detto che così come non vi è alcuna prova che i due imputati fossero a Bologna il 2 agosto, non vi è neppure la prova che Sparti fosse a Roma il 4 agosto.

Tutti i suoi familiari, infatti, quel giorno lo hanno posizionato in campagna dove erano tutti riuniti per le abituali vacanze di agosto, dando anche una ben precisa ragione, ossia che il negozio che gestiva in città era chiuso per ferie, e non si vede che motivo avessero di mentire tutti costoro, accusando il congiunto, per salvare i due imputati, con cui non risulta fossero in particolari rapporti.

Ed è proprio nella casa di campagna (e non a Roma) che lo raggiungerà, appena uscito di galera, il figlioccio Cristiano il quale, successivamente pentitosi quasi insieme a Sparti, nulla dirà di avere saputo in merito al fatto che l’amico si fosse appena incontrato a Roma con suo fratello e la Mambro.

Turone riprende la sentenza laddove ricostruisce gli spostamenti degli imputati che vengono localizzati con certezza l’1° agosto ancora in Veneto (vd. più avanti l’indizio relativo alla telefonata alla fidanzata di Ciavardini) e il 3 sera a Roma per ammissione di entrambi presso Soderini e così pure la notte del 4 mentre la notte del 5 si sarebbero trasferiti dopo la rapina in piazza Agrippa (vd. più avanti) all’Hotel Cicerone dove peraltro Fioravanti risulta registrato con il documento falso che aveva in uso (vd. più avanti).

Ma dove avrebbero passato la notte del 2 agosto, dopo avere posizionato al mattino la bomba alla Stazione di Bologna, Fioravanti, Mambro e Ciavardini? La Sentenza non lo dice, né dice con quale mezzo i tre imputati si sarebbero allontanati dalla Stazione. Hanno proseguito subito per Roma o sono ritornati in Veneto, visto che il minorenne Ciavardini risulta fermato senza i due per un controllo il giorno 3 ben lontano da Bologna? E sarebbero tornati in Veneto dopo la bomba per poi ripartire il successivo giorno 3? Ma che senso avrebbe, se avevano, come dice Sparti, un’urgenza impellente di trovare un documento falso per la Mambro, tanto il fare un inutile avanti e indietro Bologna/Veneto/Roma per la sola notte del 2 quanto il proseguire per Roma lo stesso giorno 2 ed attendere fino al giorno 4 per andare a chiedere il documento falso allo Sparti? Né la Sentenza, nè il libro di Turone lo spiegano e si passa direttamente al 4.

La frase (attribuita a Fioravanti de relato) “hai visto che botto?” di per sè non avrebbe alcuna valenza accusatoria giacché appare più plausibile come cinico commento ad un fatto accaduto in un tipo come Valerio Fioravanti rispetto ad una “eccentrica” modalità di confessione di avere commesso una strage di tale portata.

La frase infatti trova senso accusatorio solo se si aggiungono quelle ulteriori frasi (sempre attribuite de relato dallo Sparti) sul suo travestimento da tirolese (turista tedesco non vuol dire niente) e sulla Mambro che dopo la strage si sarebbe fatta tingere i capelli per timore di essere stata riconosciuta, non comprendendosi peraltro perché non lo avesse fatto prima di recarsi a Bologna o non si fosse travisata anche lei come il Fioravanti, ma tant’è.

Sta di fatto che nessuno dei tanti testimoni presenti a Bologna il 2 agosto ha visto un tizio vestito da tirolese, nessuno riconoscerà mai né Mambro né Fioravanti ai tanti processi o nelle tante apparizioni televisive, e che le prove fatte sul capello della Mambro hanno escluso che la stessa fosse mai ricorsa a tinteggiatura.

Che Sparti fosse in particolare confidenza con Valerio tanto da riferirgli (e solo a lui e neppure al fratello!) un fatto di tale eclatanza non è certo comprovato dal fatto che tempo addietro avesse fatto una rapina con lui, visto che in quegli anni è stato accertato che Valerio le faceva con tutti, mentre risulta invece che Sparti in particolare confidenza lo fosse molto con il fratello Cristiano che però non ha mai saputo nulla di Bologna né da lui né dal fratello con il quale pure, il Cristiano, era in massima confidenza.

Per cui la cosa che colpisce in siffatto terzetto, è che l’unico soggetto che era in vera confidenza con entrambi (Cristiano) viene lasciato fuori dagli altri due che invece non lo erano troppo tra di loro, e proprio sul delitto di gran lunga più rilevante della pur sanguinosa e folle storia dei NAR.

Nella nota 5 si riporta la sentenza dove cita il discorso che Sparti avrebbe fatto in precedenza con Fioravanti sull’omicidio Amato per irrobustire il grado di confidenza tra i due, ma si legge che Sparti avrebbe parlato con Fioravanti di Alibrandi, ed è stato accertato che il giudice Amato fu ucciso da Cavallini mentre Ciavardini attendeva in moto, e non già da Alibrandi che non era c’era, il che, unito al fatto che Sparti sapeva che Alibrandi faceva parte dei primi NAR con Cristiano, mentre non conosceva né Cavallini né Ciavardini (subentrati in un secondo momento), fa ritenere che Fioravanti in realtà non gliene avesse affatto parlato.

Quanto al fatto che l’emersione dell’omicidio Amato sia intervenuta solo a seguito della confessione di Cristiano, risulta che Cristiano e Sparti abbiano confessato praticamente in semi contemporanea, e peraltro il fatto che il giudice Amato fosse stato ucciso dai NAR non era circostanza difficile da capire sin dallo stesso giorno del fatto per chiunque, visto che come noto era l’unico magistrato che in quel momento stava indagando su di loro.

Vanno infine ricordate le plurime menzogne di Sparti, ivi compreso un certificato medico falso attestante un inesistente tumore per uscire di prigione e morire nel proprio letto più di 20 anni dopo.

Ma se la chiamata di reità di Sparti appare già poco verosimile intrinsecamente parlando, la stessa diviene ancor più fragile nel momento in cui se ne sono ricercati i necessari riscontri.

 

  • Il falso documento per la Mambro (290)

 

La storia del documento falso è più complessa di quanto riportato nel libro perché passa attraverso una serie di aggiustamenti di dichiarazioni volta a volta smentite che vengono elencate nel libro Storia Nera scritto per Cairo dal giornalista del Manifesto Andrea Colombo che in quanto ex dirigente di Potere Operaio non può essere tacciato di particolare bonomia “politica” verso gli imputati.

Dapprima (o dopo) Sparti dice che i falsi erano per due persone diverse, poi (o prima) che non aveva fatto caso per chi fossero, poi (o prima) dice che era un falso per la sola Mambro perché era strasicuro che fosse per una donna, ma quando il primo falsario da lui indicato nell’aprile del 1981, Mario Ginesi, lo smentisce in toto e poiché i due imputati, pur confermando la richiesta di documenti falsi, ma non già per loro bensì per altri militanti NAR, hanno attestato che il fatto si sarebbe verificato in diversa data e con diverso nominativo, allora lo Sparti deve rettificare, in successiva data 5 maggio 1982, sia la data che il nominativo originariamente indicato, non più Mario Ginesi, bensì quel Fausto De Vecchi che si cita nel libro, il quale però, prima smentisce in modo categorico che fosse per una donna e solo alla fine (e quindi molto tempo dopo il fatto, quando solitamente si dice nelle sentenze che i ricordi sarebbero meno “freschi”) nel confronto citato resta sul più generico “non escludo”, fino ad arrivare al nome di Carlostella.

E’evidente che se cade la tesi del documento falso da procurare con urgenza quello stesso giorno 4 alla Mambro cade tutto, perché allora non si capirebbe perché Valerio avesse portato all’incontro anche la Mambro che Sparti non aveva mai visto con il rischio che questi la denunciasse, e che proprio in quel momento con la Mambro presente abbia deciso di confessare a uno come Sparti un fatto del genere attribuendolo anche alla propria compagna.

Ma è sulla base di quanto accertato essere successo dopo quel fantomatico incontro del 4 a Roma che la storia raccontata di Sparti finisce nell’assurdo.

Se come dice lui è riuscito a procurare il documento solo al mattino del 5 consegnandolo a Fioravanti alle 10 del mattino, ciò significa che “a cavallo” di quella consegna urgente di falso per la Mambro i due si sarebbero imbarcati quello stesso giorno 5 nell’impresa di compiere una rapina in piena Roma (questa si che è accertata) con tutti i rischi che questo avrebbe comportato anche per una Mambro che se colta in flagranza di una rapina di quel falso documento non avrebbe saputo che farsene.

Ma poi, in quella urgenza descritta da Sparti cosa fa Fioravanti? Fa un salto alle 10 del mattino da Sparti tra una rapina e l’altra? E alla sera dopo la rapina cosa fanno i due? Vanno a dormire all’Hotel Cicerone e qui va riportato un dato importante che il libro di Turone non riporta e che si legge invece in quello di Colombo.

La sera del 5 dopo la rapina è vero che la Mambro si “infratta” al Cicerone nella stanza prenotata da Fioravanti, ma si “infratta” appunto, perché mentre Fioravanti si registra regolarmente con il suo documento, la Mambro decide inspiegabilmente invece di non usare quello asseritamente appena consegnatole da Sparti e fatto fare di tutta urgenza.

Infatti, quello di Fioravanti risulta mentre quello della Mambro no.

La sentenza dice che non si sono trovati i registri dell’hotel di quella sera del 5 agosto, ma non è vero perché poi qualcuno invece li trova, come si legge appunto nel libro di Colombo, e tutti i nominativi femminili registrati quella notte sono riferibili a donne rintracciate e quindi nessuna di loro era la Mambro.

Quindi secondo l’accusa i due avrebbero farebbero un “casino d’inferno” con Sparti per avere il documento la sera stessa del 4 e poi, invece di starsene nascosti nell’attesa, il giorno dopo prima vanno a fare una rapina con tutti i rischi del caso e quando finalmente la Mambro ottiene l’agognato falso da Sparti che fa: Lo usa? No, si infratta in albergo senza documenti, mentre Fioravanti usa il suo falso che aveva già senza ricorrere a nessuno Sparti.

Ora, fermo restando che di documenti falsi certamente una clandestina pluriomicida come la Mambro certamente ne abbisognasse tanto il giorno 4 quanto qualsiasi altro giorno dell’anno e non necessariamente per sfuggire al riconoscimento di Bologna, sostenere sulla base di quanto sopra che le dichiarazioni di Sparti avrebbero trovato un riscontro tale da eliminare qualsiasi ragionevole dubbio, pare affermazione ardita.

 

  • La telefonata di Ciavardini (291)

 

Questa è la prova che ha determinato la condanna in concorso dell’allora minorenne Ciavardini, ma anche l’ulteriore elemento che, a detta della sentenza e di Turone, avrebbe confermato la verità della dichiarazione di Sparti.

Anche se in realtà quella telefonata dell’1° agosto non è mai stata accertata documentalmente, facciamo finta che valgano le dichiarazioni concordi di Ciavardini e del padre della di lui fidanzata e che ci sia effettivamente stata nei termini riferiti.

Quel che è non convince è il valore accusatorio dato alla stessa, visto che si trattava di una disdetta di un incontro programmato per il giorno dopo a Venezia con la fidanzata e alcuni amici.

Ora, se l’appuntamento (organizzato ovviamente giorni prima) viene disdetto all’improvviso da Ciavardini solo l’1 sera, ciò significherebbe, se avesse ragione l’accusa ad imputarla alla partecipazione diretta dell’imputato alla collocazione della bomba del mattino dopo a Bologna, che Ciavardini avrebbe saputo di dover partecipare alla più sanguinosa strage del Novecento italiano solo qualche ora prima di doverla fare.

Ma fino alla sera dell’1° agosto Ciavardini dove stava? Nel Veneto, e questo è certo, con Fioravanti e la Mambro e perché mai costoro non gli avrebbero detto nulla fino a poche ore prima? A meno di non ritenere che Fioravanti, Mambro e Ciavardini abbiano deciso e organizzato la più sanguinosa strage italiana nelle poche ore della sera prima.

Eppure, le ragioni di sicurezza per cui Fioravanti impose a Ciavardini di rimandare quell’incontro a Venezia sono state ben spiegate dal primo e confermate anche dal successivo comportamento del secondo, visto che solo qualche giorno dopo Ciavardini trasgredisce “gli ordini” di Fioravanti (che non è più in Veneto con lui) recandosi il 6 agosto a Roma dalla fidanzata.

Ritenere, come si legge nel libro, che Fioravanti volesse uccidere Ciavardini perché coinvolto direttamente nella strage fa a pugni con altri due elementi valorizzati dall’accusa: l’averlo detto senza ragione a uno come Sparti e l’avere invece ucciso Mangiameli (vd. oltre) perché lo sapeva, perché delle due è l’una: se Valerio intendeva uccidere tutti i testimoni pericolosi di Bologna avrebbe ucciso subito Ciavardini (teste diretto) senza pensarci due volte e si sarebbe ben guardato di dirlo a Sparti, altrimenti la minaccia a Ciavardini, peraltro riferita de relato solo dal fratello Cristiano, aveva ragioni diverse e infatti poi non se ne fece nulla tanto che Ciavardini rimarrà a militare nei NAR con la Mambro anche dopo l’arresto di Fioravanti.

Neppure la telefonata di Ciavardini pare dunque fornire adeguata conferma alla responsabilità degli imputati.

 

  • La discrasia sugli alibi Padova/Treviso (293)

 

Entrambi hanno detto in due momenti diversi (essendo arrestati a distanza di un anno e mezzo l’uno dall’altra) di essere stati in Veneto il giorno 2 agosto, anche se non coincide la città, Fioravanti arrestato nel febbraio 81 ha detto Treviso e la Mambro arrestata un anno e mezzo dopo, Padova, ed è storicamente provato (e la sentenza non lo mette in dubbio) che in quel periodo i due o erano quasi sempre in Veneto a casa di Cavallini a Treviso, quando non erano a Roma (ma solo di passaggio) o a Taranto nella casa trovata da Mauro Addis (ex componente della banda Vallanzasca) per il perenne progetto dell’evasione di Concutelli che era la ragione per la quale nel luglio i due erano stati anche a Palermo da Mangiameli.

Ora, che due fuggiaschi clandestini in perenne rischio cattura non si facessero vedere da pletore di persone la mattina del 2 agosto e che quindi non sia facile per loro provare ex post dove fossero sarebbe anche comprensibile, senonché la moglie di Cavallini (Flavia Sbrojavacca), e la madre di quest’ultima (Maria Teresa Brunelli), hanno entrambe dichiarate di essere certe di avere incontrato il 2 agosto a Treviso entrambi gli imputati, ma le due testimoni non sono state credute a fronte di una prova che fossero invece a Bologna che non c’è e che neppure il de relato Sparti riesce a dare.

Sul fatto che i due fossero a Treviso il giorno 2 agosto interverrà, come si legge nel libro di Colombo, un ulteriore testimone, Carlo Digillo, che dichiarerà al giudice Salvini, nel corso di un’ennesima inchiesta su Piazza Fontana, di avere effettivamente dato per il 2 agosto 1980 al Cavallini quell’appuntamento che il Cavallini aveva indicato come “zio Otto” a Fioravanti, Mambro e Ciavardini che si erano ivi recati con lui, ma Digillo, colpito nel 1995 da Ictus e quindi da successiva demenza senile, morirà qualche tempo dopo e la sua testimonianza svanirà.

Ma soprattutto, se i due/tre fossero stati davvero colpevoli di Bologna avrebbero almeno dovuto concordare la medesima versione sulla città dove erano quel mattino ben prima di essere arrestati e non certo, come si legge a pag. 294 del libro solo anni dopo “nel corso di un colloquio nella fase conclusiva del processo” (SIC!).

Cosa costava ai due, che in quei mesi vivevano in simbiosi fino all’arresto di Valerio del febbraio 1981, mettersi d’accordo su una sola parola da dire in caso di incolpazione: Padova o Treviso? Eppure, si legge a pag. 295 che “se fossero innocenti e avendo temuto subito di poter finire tra gli indiziati, avrebbero conservato una memoria granitica di ciò che avevano fatto a ridosso dell’attentato”.

Si consideri che da quel 2 agosto 1980 ne accadranno di cose a quei due fino ai rispettivi arresti e che la Mambro due anni dopo in detenzione isolata e ferita abbia potuto confondere Padova con Treviso non pare così peregrina come ipotesi da potere essere esclusa con radicale certezza e trasformarsi in prova, quale alibi smentito, di accertata colpevolezza.

 

  • La rapina del 5 agosto a Roma (295)

 

La tesi difensiva degli imputati sarebbe smentita secondo la Corte dal fatto che la telefonata di rivendicazione al quotidiano Vita non parla di NAR, ma entrambi hanno ben spiegato che la registrazione inizia con il nomignolo successivo Nucleo Zeppelin riferito a un amico, Elio Di Scala, un giovane simpatizzante del Nar in quel momento detenuto nel carcere minorile di Casal di Marmo, cui volevano rendere onore citandolo nella rivendicazione, e che quindi la parola iniziale “Qui NAR” prima di Nucleo Zeppelin non è rimasta impresa nel supporto sonoro agli atti. Sta di fatto che la rapina in piazza Menenio Agrippa c’è stata e che l’hanno certamente compiuta nel pomeriggio del 5 gli imputati, insieme a Vale, Soderini, Mariani e Belsito, e la sentenza non offre una motivazione diversa e più plausibile ma si limita a ritenere non provata la motivazione degli imputati che quindi avrebbero inscenato una rischiosa rapina con la Mambro secondo la Corte già ossessionata per il fatto Bologna per usare la sigla Zeppelin. In ogni caso quella rapina non prova che tre giorni prima i due fossero alla stazione di Bologna a collocare una bomba.

 

  • L’omicidio Mangiameli (296)

 

Le ragioni dell’omicidio di Mangiameli le hanno puntualmente elencate Fioravanti e Mambro e direi lo stesso Cristiano che del coinvolgimento del fratello su Bologna come detto non ha mai saputo niente, eppure è stato proprio lui a caricare a Roma Mangiameli sull’auto della trappola ed è stato sempre lui quello che ha iniziato a sparare a Mangiameli.

Fioravanti era arrivato a Mangiameli (come risulta pacificamente da tutti gli atti) un anno prima e solo per un motivo specifico ossia l’aggancio con Concutelli che si era messo in testa di voler fare evadere, ma non ne condivideva affatto la “posizione” da intellettuale che mandava allo sbaraglio i ragazzi e proprio a causa di Mangiameli erano falliti tutti i vari tentativi di fare evadere Concutelli nel corso dell’anno (una volta non si presenta a un appuntamento, un’altra non si fa trovare quando i due scendono a Palermo e gli fa consegnare un biglietto dal portiere con tanto di scritta Giusva che lo rende subito identificabile, un’altra fa saltare con scuse varie l’evasione del 30 aprile 1980 da San Vittore che invece verrà realizzata da altri 13), inoltre parla in modo razzista di Giorgio Vale ormai entrato nelle grazie di Fioravanti e infine viene fuori l’episodio che si è rubato i soldi per la casa di Taranto affittata proprio per l’evasione di Concutelli perché Mauro Addis che la gestiva gli dice di pagare perché Mangiameli non gli ha versato nulla.

Infine, l’articolo intervista di Amos Spiazzi pubblicata da L’Espresso il 18 agosto, non è così specifica sul fatto che Mangiameli sarebbe un delatore, ma puntava più sul fatto che quel tale “Ciccio” di Palermo secondo lo Spiazzi coordinerebbe un gruppo eversivo a largo raggio, né è così’ vero che dopo quell’articolo Mangiameli temesse di essere ucciso da Fioravanti, si sposta con la famiglia in Umbria (cacciando Ciavardini che in quel momento stava ospitando) perché è stato identificato nell’intervista di Spiazzi e teme di essere arrestato visto che in quel mese di agosto erano all’ordine del giorno le retate contro tutti i “neri” noti agli inquirenti, tanto è vero che invece sale tranquillo in macchina a Roma con Roberto Vale, che sa essere in contatto con Fioravanti e soprattutto con Cristiano che tutti i “neri” di Roma (ma non solo) sapevano essere il fratello minore di Valerio.

Lo stesso Fioravanti ha detto che non era intenzionato per forza ad ucciderlo e che fu la sua sprezzante riposta “se vuoi i soldi te li ridò” da lui ritenuta oltremodo offensiva a farlo arrabbiare più di ogni cosa.

E’ vero che poi il cadavere fu nascosto perché a quel punto Fioravanti intendeva regolare i conti anche con gli altri due leader di Terza Posizione, Fiore e Adinolfi, ma proprio questo conferma che il motivo non era il fatto che anche costoro fossero al corrente della sua responsabilità per la strage di Bologna.

Secondo Turone (pag. 297) rileverebbe anche il fatto che quelli di Terza posizione associno, nel volantino del 12 settembre in ricordo del camerata Mangiameli, la morte di quest’ultimo con la strage di Bologna, ma nel volantino si citano anche piazza Fontana, Brescia e Peteano. In ogni caso quel volantino potrebbe anche significare che quelli di TP sapevano qualcosa che i Nar che con loro nulla hanno mai avuto a che vedere non sapevano e tuttora non sanno, e che quindi certe assoluzioni di certi comprovati bombaroli eversori (cosa che i NAR non erano) abbiano potuto essere un po’ frettolose, ma transeat.

L’omicidio Mangiameli peraltro è trattato nel dettaglio da altra sentenza passata in giudicato in cui il movente strage di Bologna non compare in nessuna riga, quindi una delle due sentenze “in nome del popolo italiano” evidentemente non fa testo. Quale?

 

  • Il depistaggio del 13 gennaio 1981

 

Qui sinceramente il ragionamento dell’accusa si fa ancora più involuto. Posto che è stato accertato che quel depistaggio è stato commesso e che tra gli elementi artatamente inseriti alcuni facevano risalire la responsabilità di Bologna proprio al Fioravanti, cosa che di fatto avvenne, si sostiene che invece fu fatto da chi voleva proteggerli per indurre gli inquirenti a ricercare i responsabili in altre strutture eversive di destra. Aldilà del ragionamento, evidentemente affrontabile anche in modo diametralmente opposto, non si comprende quale sarebbe stato il ruolo attivo dei due imputati, una volta assolti tutti gli altri asseriti complici. Senza contare che l’unico che avrebbe potuto ben chiarire una parte di quanto fatto trovare con quel depistaggio era Roberto Vale rimasto sempre in contatto con quelli di Terza Posizione, il quale tuttavia troverà la morte in occasione dell’irruzione da parte delle forze dell’ordine nell’appartamento in cui si era rifugiato da solo.

 

Conclusioni

 

Finita la disamina degli elencati indizi, va infine ricordato ad abundantiam che nessun elemento collega i due condannati all’ordigno, non si sa dove lo avrebbero preso e da chi e in nessuno dei tanti ritrovamenti di basi e armamentario NAR si sono trovate tracce analoghe a quell’arma micidiale che sarebbe quindi stata usata per la prima e unica volta e solo quel giorno, facendo sempre tutto da soli Mambro, Fioravanti e un minorenne da poco ingaggiato senza dirlo a nessuno. E perché mai resta un mistero, temo come i nomi di quelli che quella bomba ce la misero davvero.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21