Lampedusa, 2 ottobre 2019. In sul palco allestito davanti al Belvedere di piazza Castello, si susseguono dibattiti e musica per le iniziative promosse dal Comitato Tre Ottobre per ricordare le 368 vittime del naufragio di sei anni fa e con loro tutte le persone migranti morte nel tentativo di raggiungere l’Europa. In mattinata, gli oltre 250 studenti di 60 istituti di 20 paesi europei hanno partecipato ai workshop con le organizzazioni umanitarie e hanno ascoltato, guardandoli negli occhi, i sopravvissuti e i parenti di alcune delle vittime che ogni anno tornano per ricordare e soprattutto per chiedere alle istituzioni internazionali che non ci siano più morti in mare. Tra loro anche i familiari alcune delle vittime dell’11 ottobre del 2013. Una settimana dopo la strage che fece alzare gli occhi del mondo intero sulle migrazioni, un barcone con centinaia di siriani scappati dalla guerra civile, passando per la Libia, comincia ad imbarcare acqua tra Malta e Lampedusa. Le capitanerie italiana e maltese si rimpallano l’intervento. La nostra dice che il soccorso e di competenza maltese, Malta rimanda a Roma perché la nave più vicina al barcone è la Libra della Nostra Marina militare. Il barcone affonderà dopo ore di ininterrotte richieste di soccorso, portando con sé 266 vite: 60 erano bambini. Per questa strage sono imputati per omicidio colposo plurimo e omissione di atti d’ufficio due ufficiali della Marina Militare e della Guardia Costiera.
Alla vigilia della giornata in cui si ricordano i morti, un’altra barca carica di vite, in mattinata lancia un sos raccolto dalla piattaforma Alarm Phone. Come un film che si ripete, anche questa volta Malta e Italia si rimpallano l’intervento. Passano le ore, il cielo diventa buio e le condizioni meteorologiche da buone volgono al brutto. Sono le 23 quando in lontananza vediamo fulmini. Guardo fuori dalla ringhiera del Belvedere e vedo che mancano due motovedette della Guardia costiera e almeno una della Finanza. Se tanto mi dà tanto, sono scattate fuori per un soccorso.
Poi arriva la notizia: la barca con 72 persone partita da Zwara due giorni prima, aveva raggiunto le 11 miglia nautiche da Lampedusa, entrando così in acque italiane. Il mare intanto si è ingrossato, tuona e piove a dirotto. In queste condizioni,la possibilità di annegare è altissima.
Alle 24.30, sbarcano al molo Favaloro 69 uomini, due donne, una incinta e un bambino, quasi tutti di origine del Bangladesh. Sono tutti salvi .
Diranno che l’hotspot “è al collasso” perché i posti sono 95 e dentro ora sono più di 300. Perché, da quando non ci sono più navi Ong a cui dare la colpa, i trafficanti i migranti li fanno arrivare da soli. A Malta, in Sicilia e soprattutto a Lampedusa perché è il punto più vicino da raggiungere. Diranno tante altre cose dette e ridette ma alla fine restano i fatti: restano i sopravvissuti che dovranno continuare a vivere e i morti.
Il 3 ottobre del 2013, alle prime luci dell’alba, un bagliore accende il mare davanti la Baia dei Conigli a Lampedusa. Era il fuoco di uno straccio acceso dallo scafista che guidava il barcone con 500 esseri umani in viaggio verso il mito Europa. Cercava così di farsi notare dato che nessuno si era avvicinato per soccorrerli. Lo straccio cadde e spaventò i passeggeri provocando il panico a bordo. Il barcone si rovesciò . Solo in 155 di quei 500 oggi possono raccontare questa storia.