Stato agitazione funzionari pedagogici. Lettera aperta al presidente della Repubblica

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Egr. Presidente,

la mancanza di parità di riconoscimento professionale, in termini economici e giuridici, rispetto alla polizia penitenziaria, è elemento di disconoscimento che mette a rischio l’esercizio di una corretta funzione rieducativa della pena. Il trattamento penitenziario non rappresenta il solo compito dei funzionari giuridico pedagogici ma è uno degli strumenti che il segretario tecnico dell’équipe è chiamato a utilizzare per articolare un progetto di esecuzione penale quanto più conforme alle indicazioni e gli orientamenti costituzionali e normativi. La nostra figura professionale ha rappresentato il passaggio in senso legalitario dell’ordinamento penitenziario, una legge disapplicata e ancora priva di obiettivi definiti a causa di interpretazioni e applicazioni disomogenee, disorganizzazione interna degli istituti, assenza di protocolli operativi e di poca disponibilità delle altre aree a sostenere la funzione principale della pena, oltre alla mancanza di differenziazione sia in termini di risorse umane che economiche tra case circondariali e case di reclusione.

Per comprendere la difficoltà concretamente vissuta da tali funzionari dello Stato, è importante richiamare l’autonomia professionale di cui essi sarebbero beneficiari, non essendovi gerarchizzazione rispetto alle altre aree gestionali ma un’esclusiva dipendenza funzionale al dirigente d’istituto. Tuttavia, essi vengono utilizzati, sempre più, come operatori dell’emergenza, coartati a interventi d’urgenza, ancorché strumentali, che non rispondono ai loro compiti istituzionali rendendo le condizioni di lavoro disumane e degradanti, apportando stress e, nei casi peggiori, malattia legata alla professione.

I compiti di questi funzionari dello Stato non assoggettati a regime di turnazione ma ad orario lavorativo definito dal comparto del pubblico impiego, sono innumerevoli. Delegati al colloquio nuovi giunti: partecipiamo come componenti attivi e decidenti al consiglio di disciplina, un momento importante, strutturato ex lege, caratterizzato da fasi tassative in cui si deciderà se procedere con una sanzione rispetto al comportamento scorretto assunto dal ristretto; osserviamo i ristretti in ogni ambito dell’esecuzione penale durante le attività istruttive, durante quelle culturali – ricreative, durante l’esecuzione del lavoro penitenziario; elaboriamo il documento di sintesi raggruppando organicamente i contributi sia del got allargato che di quello istituzionale, coordinandoci con la sanità penitenziaria nel caso di soggetti psichiatrici o seguiti dal servizio dipendenze, valutiamo il ravvedimento critico del reo, elaboriamo relazioni comportamentali per la magistratura di sorveglianza, seguiamo i percorsi di trattamento definiti all’interno del progetto pedagogico assicurando la partecipazione e l’osservazione delle persone recluse; scriviamo relazioni semestrali sui soggetti detenuti in alta sicurezza, esprimiamo pareri in équipe per la declassificazione dal regime di alta sicurezza; operiamo osservazione penitenziaria con esperti psicologi nel caso di detenuti sex offenders; formuliamo i programmi previsti ex art.21 O.P. e di semilibertà, su delega del direttore d’istituto e tanto ancora.

Anche la gestione delle biblioteche d’istituto è una specificità della professionalità educativa, ma la funzione culturale viene ampiamente sacrificata in nome di quella burocratica. Siamo coartati, invece, a fare o giustificare interventi che non ci competono perché è difficile accettare che noi non siamo delegati alla gestione del disagio dei detenuti, espresso nelle sue diverse forme, ma osserviamo i loro comportamenti valutando in équipe se quel disagio può tradursi in un programma di trattamento.

Risultano necessarie, inoltre, azioni positive volte a debellare lo stereotipo delle donne lavoratrici in ambito educativo come assistenti alla persona deputate all’ascolto di mere doglianze; tali distorsioni rappresentano quel terreno su cui maturano idee paternalistiche, sessiste e contenuti di infantilismo penitenziario che compromettono un reale cambiamento culturale.Il quadro delineato mostra un’evidente difficoltà che induce a intraprendere uno stato di agitazione permanente di categoria sia per sollecitare l’inquadramento nei ruoli tecnici dell’amministrazione penitenziaria che per favorire condizioni lavorative che riconoscano la risocializzazione come compito precipuo, attivato principalmente da componenti istituzionali, laddove il volontariato, parte attiva e partecipe, non può supplire allo sguardo tecnico e competente dei lavoratori assunti dall’Amministrazione tramite concorso pubblico.

Siamo certi che Lei, generoso ed egregio Presidente, vorrà sollecitare azioni di riconoscimento della nostra categoria, sottaciuta ma necessaria, intervenendo su un’Amministrazione che poco riconosce e poco tutela lo sforzo da noi compiuto in questi decenni per mantenere un profilo di legalità costituzionale alla pena detentiva.

Evelina Cataldo. Funzionario giuridico pedagogico


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