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Siria, arriva la svolta. I curdi chiedono e ottengono l’intervento delle truppe di Assad col via libera di Mosca

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Intanto, l’avanzata turca provoca centinaia di morti tra i miliziani curdi e 130mila sfollati

Di Beppe Pisa

 

E’ arrivata la svolta nella nuova guerra in Siria: l’attendismo dell’Ue, che domani riunisce i ministri degli Esteri, e l’abbandono da parte degli americani, hanno obbligato i curdi a chiedere aiuto all’esercito di Damasco, la loro ultima speranza. I militari di Bashar al-Assad, con il via libero russo, prenderanno posizione nelle prossime 48 ore nelle roccaforti curde di Kobane e Manbij. Era un esito che i curdi avevano preannunciato nei giorni scorsi, e che vede la luce quando l’offensiva “Fonte di pace”, sferrata dalla Turchia il 9 ottobre per costituire una ‘safe zone’ a est del fiume Eufrate ed eliminare le postazioni delle milizie curde Ypg, fa ottenere all’esercito di Ankara due importanti risultati: la conquista di Tel Abyad e il controllo dell’autostrada M4. Sin dall’inizio dell’offensiva l’esercito turco si era concentrato su Ras Al Ayn e Tel Abyad, importanti città al confine con la Turchia, aprendo un fuoco di artiglieria su entrambe dalle postazioni di Akcakale e Ceylanpinar, con un fronte di 120 chilometri di ampiezza.

L’avanzata mette sempre di più in ansia la comunità internazionale: Angela Merkel ha avuto un colloquio telefonico con il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, al quale ha chiesto senza mezzi termini “di mettere immediatamente fine all’operazione militare” nel nord-est della Siria. La cancelliera tedesca e il presidente francese, Emmanuel Macron, hanno lanciato un allarme: “Si rischia una situazione umanitaria insostenibile e il riemergere dell’Isis nella regione”. Sul versante americano, si assise alla consueta politica del bastone e della carota, avviata e perseguita da Donald Trump nelle relazioni bilaterali con i Paesi meno amici: se il capo del Pentagono Mark Esper ha annunciato che gli Usa ritireranno altri 1000 soldati dalla Siria senza specificare quali sono le località interessate dal ritiro, lo stesso presidente, che ha definito su Twitter una mossa “molto intelligente non combattere nel nord della Siria”, ha tuonato che sta lavorando al Congresso per l’imposizione di nuove importanti sanzioni contro la Turchia. Lungo il fronte le operazioni continuano con grande intensità e l’esercito è penetrato in tre diversi punti, distanti 60 chilometri l’uno dall’altro, alle cui estremità si trovano Tel Abyad e Ras al Ayn. L’artiglieria aveva spianato la strada all’ingresso dell’Esercito libero siriano (Els) ieri a Ras al Ayn.

In seguito alla presa di quest’ultima è diventata primaria la conquista di Tel Abyad, nella cui area oggi è stata concentrata un’offensiva che ha portato alla conquista di circa 50 villaggi e allo sfondamento da ovest prima da parte di miliziani Els e subito dopo dei militari di Ankara. Sia Ras al Ayn che Tel Abyad erano state abbandonate dai militari americani lo scorso lunedì. Un’altra significativa vittoria è stata ottenuta con il controllo della strategica autostrada M4, dove già ieri i miliziani Els avevano istituito un check-point dal quale sono circolate immagini di esecuzioni sommarie, tra cui quella della leader delle donne Hevrn Khalaf, segretario del parito per il Futuro della Siria. Un comunicato di Ankara ha oggi annunciato che è “stato consolidato il controllo” di questa importante arteria stradale che collega le città curde di Manbij e Qamishli, da ovest verso est. Manbij è fuori dalla prevista ‘safe zone’, ma pur rimanendo controllata dai curdi rimarrebbe isolata, mentre Qamishli si trova quasi all’estremità est dell’area interessata dall’attacco, vicino al confine con l’Iraq ed insieme a Kobane è uno dei prossimi obiettivi da parte dell’esercito di Ankara. Il comunicato relativo al controllo di M4 è giunto pochi minuti dopo che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che la profondità dell’intervento prevista è di 30-35 chilometri in territorio siriano. Pur senza averlo detto apertamente è evidente che l’autostrada costituirà il confine sud della ‘safe zone’.

Proprio a Kobane e a Manbij, però, arriveranno i soldati di Bashar Assad, e si giocherà un’altra partita, molto rischiosa per Ankara. Il ‘sultano’, intanto, ha bollato come “disinformazione” la fuga di famiglie di jihadisti dell’Isis dai campi profughi della Siria settentrionale, con l’Osservatorio siriano per i diritti umani che aveva parlato prima di 100 e poi di 800 persone fuggite dal campo di Ayn Isa in cui risultano vivere circa 8.000 donne e 4.000 minori. Difficile smentire, invece, il bombardamento su un pulmino di giornalisti, che ha visto morire un reporter curdo. L’inviata in Siria di France 2, Stephanie Perez, ha scritto su Twitter che anche lei si trovava sul convoglio quando è stato colpito nel raid:”La nostra troupe è in salvo ma dei colleghi sono morti”. C’è apprensione per gli sfollati, 130 mila secondo l’Onu, che hanno abbandonato soprattutto le città, con l’esercito di Ankara che ha lanciato appelli ai civili, invitandoli a tornare nelle aree liberate. Al momento l’intervento è costato la vita a 3 militari turchi, 16 miliziani Els e 18 civili turchi uccisi da colpi di mortaio. Momentaneamente fermo a 525 il numero di miliziani Ypg uccisi, mentre mancano dati relativi ai civili uccisi nel nord della Siria, anche se alcune Ong parlano di decine di morti.

Da jobsnews

 


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