Cosa avevamo detto? Che con la riforma della governance della Rai del 2015 i cittadini avrebbero pagato la televisione del governo. E così è stato. Nell’epoca precedente vigeva la lottizzazione tra partiti. Dal gennaio 2016 invece la Rai è diventata l’espressione della maggioranza di governo. Dalla padella nella brace.
Non si tratta di illazioni, ma di realtà verificabile. Chiunque ha potuto constatare attraverso gli organi di informazione i problemi che ci sono stati al momento della nomina del CdA, del Presidente e dell’Amministratore delegato l’anno scorso. E a cosa si è fatto riferimento al momento del rinnovo degli incarichi di direzione delle reti e delle testate? Al gradimento dei partiti di maggioranza ovviamente. E di cosa si è discusso in occasione della formazione del governo M5s – Pd? Della corrispondenza di alcuni nominati al gradimento dell’attuale maggioranza politica. Come volevasi dimostrare.
Non era difficile indovinare che di questo si sarebbe trattato. Eppure la riforma era stata annunciata con perentorie dichiarazioni di voler sottrarre la Rai al controllo dei partiti. Un semplice stratagemma di marketing per far accettare ad un’opinione pubblica distratta un peggioramento della situazione precedente.
Ora, se prima non si poteva esser contenti di una Rai dominata dai partiti, a maggior ragione non lo si può essere se la Rai diventa un megafono del governo in carica. Continuiamo a dire che ciò non è accettabile innanzitutto perché in nessuna democrazia avanzata il governo dovrebbe disporre della Tv pubblica. L’informazione e tutti gli strumenti che influenzano la formazione di un’opinione non devono essere controllati da chi è delegato ad esercitare il potere nelle istituzioni. La prima differenza con le cosiddette democrazie illiberali e con i regimi autoritari è questa.
Ma vi è anche un’altra ragione: la Tv pubblica deve riflettere la molteplicità di punti di vista che compongono la società. Se questo non è a che serve? In un sistema pluralista nel quale convivono molte emittenti il servizio pubblico non può essere espressione di parte. E nemmeno si può dire, come si fece con il precedente sistema di governance, che poiché i partiti esprimono la complessità sono, per questo, incaricati di portarla nella televisione pubblica. Non era vero allora e, meno che mai, è vero oggi.
Dunque occorre porre mano ad una riforma della riforma. Noi di Move On una proposta ce l’abbiamo ed è sempre la stessa che abbiamo riassunto nella formula “la Rai ai cittadini” e che abbiamo tradotto in una proposta articolata accolta in un disegno di legge quando si è discussa la riforma del 2015 (atto Camera n. 2931 Civati,Fratoianni ed altri).
L’essenziale di quel progetto stava nell’attribuzione ad un organismo ampiamente rappresentativo delle diverse istanze politiche, istituzionali, soci
Si trattava indubbiamente di un cambiamento importante che avrebbe richiesto tempo e molta cura per essere realizzato. Un cambiamento che, però, si ripropone oggi dopo la constatazione che la riforma del 2015 ha solo indebolito la Rai. Il nostro appello è rimettere all’ordine del giorno la riforma della governance del servizio pubblico radiotelevisivo. Un servizio che ormai è già andato molto oltre le due piattaforme sulle quali è nato. Con questo spirito ci rimettiamo al lavoro
MoveOn Italia