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‘Ragazzi di Vita’, e quella Roma pasoliniana riportata in scena da Popolizio

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“Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la cresima, s’era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giú per via Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesú pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare”. E’ così che inizia Ragazzi di Vita, quel racconto così partecipato e autentico tratteggiato da Pier Paolo Pasolini alla metà degli anni ‘50. Era la Roma delle borgate, dal Prenestino a Pietralata a Monteverde, una città così lontana e così diversa da quella di oggi. Tuttavia alcune cose sono rimaste uguali: i ‘suoi’ ragazzi di vita lottavano per la quotidianità proprio come i tanti ‘ultimi’ che oggi ancora riempiono le strade di questa Capitale sotto forma di migranti.

E’ Massimo Popolizio che riporta in scena ‘Ragazzi di Vita’, per la drammaturgia di Emanuele Trevi – uno spettacolo nato in occasione dei 40 anni dalla morte di uno tra i maggiori e più significativi intellettuali del XX secolo (il compianto Harold Bloom ha inserito Pasolini tra i Giganti della cultura occidentale – cfr. il suo “Canone Occidentale”) – un’opera del 2016 che aveva  riscosso un ampio, corale, ed immediato apprezzamento di pubblico e di critica.

Ancora una volta, quindi, dal 15 al 27 ottobre, il palco del Teatro Argentina di Roma si ripopolerà di quello struggente sciame di adolescenti, appartenenti al sottoproletariato urbano romano, che vivono di espedienti, alla deriva, privi di riferimenti valoriali, così ben raccontati da Pasolini.

Popolizio si mostra con quest’opera in tutta la sua abilità registica, mescolando con sapienza ironia e durezza, e portando sul palco vere e proprie ‘pagine animate’ di quel racconto che trasuda vita, una vita durissima e priva di speranza. E’ così che, fedele all’originale, Popolizio ripropone una narrazione fatta di capitoli tenuti insieme da un bravissimo Lino Guanciale, alter ego di Pasolini, che si aggira tra una scena e l’altra, un po’ narratore un po’ spettatore di quelle vite caotiche e rumorose. La scenografia è estremamente minimalista, ma all’interno di un racconto tanto partecipato il pubblico ha l’opportunità di immaginare quella Roma, bagnata dall’afa di luglio, tra vicoli assolati e sponde del Tevere, all’interno delle quali scorre quel biondo fiume ora tranquillo, ora sporco e travolgente.

“I ragazzi di vita sono un popolo selvaggio, una squadra, un gruppo, un branco di povere anime perdute ritratte nei dettagli del testo” ha sostenuto Popolizio. Ed è proprio così che questo grande interprete del teatro del nostro tempo ce li restituisce, con un racconto in terza persona mutuato da Ronconi e in romanesco, in uno spettacolo corale che ha i toni del dramma e dell’ironia, della violenza e della comicità.


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