Quando cadde il Muro di Berlino, uno dei pochi che, anziché festeggiare, si interrogò sulle sorti dell’Occidente dopo la sconfitta definitiva di una certa idea del mondo fu l’azionista Norberto Bobbio. Ricorrono centodieci anni dalla sua nascita e quindici dalla sua scomparsa, e sarebbe inutile star qui a discutere su quanto ci manchi una personalità del suo livello.
Formatosi nella Torino di Gobetti, insieme a personalità come Massimo Mila, Leone Ginzburg e Cesare Pavese, Bobbio incarna tutto ciò che la politica italiana ha smarrito: l’intransigenza, il rigore, il coraggio rivoluzionario, la visione globale dei fenomeni e il ripudio di qualsivoglia forma di fascismo.
Socialista liberale, gobettiano nel senso puro del termine, nemico di ogni retorica ma dotato di uno slancio e di una passione per il futuro che è impossibile ritrovare in quasi tutti i pensatori contemporanei, Bobbio è l’emblema di quel pensiero azionista ahinoi misconosciuto, e troppe volte deriso, nel nostro Paese.
L’azionismo, derivante dal Partito d’Azione di Lussu e dei fratelli Rosselli, è stato, infatti, il cardine della Resistenza e l’ispiratore dei valori essenziali della nostra Costituzione, oggi indegnamente calpestati e trattati come arnesi inservibili quando, al contrario, costituiscono i capisaldi del nostro vivere civile.
L’azionismo, del resto, prevede proprio questo: uno Stato forte e protettivo che, tuttavia, consenta ai singoli individui di esprimere la propria personalità senza alcun vincolo se non quelli derivanti dalla legge e dall’accettazione delle norme essenziali di convivenza. E così, checché ne dicano i soliti noti, facendo sfoggio di un’ignoranza senza eguali, la nostra Costituzione, indubbiamente la più bella, ricca e significativa del mondo, è una splendida carta liberale, in sintonia col pensiero di Mazzini e degli altri padri del Risorgimento e caratterizzata da una visione profonda del nostro ruolo in Europa e nel contesto occidentale.
Senza contare l’attualità del pensiero di Bobbio per quanto concerne i doveri dello Stato e del cittadino nonché la funzione, diremmo quasi la missione, storica della destra e della sinistra: due punti di forza di ogni democrazia che si rispetti, senza i quali viene meno il concetto stesso di democrazia e, ovviamente, il suo luogo simbolo, quel Parlamento che oggi vediamo più che mai svilito, vilipeso, tagliato e inserito fra i costi sacrificabili, come se davvero la democrazia rappresentativa potesse essere sostituita da quattro clic anonimi e privi di alcun controllo.
Rileggere Bobbio, in particolare la sua riflessione sulla sfida persa dal comunismo che, però, non poneva affatto in secondo piano le ragioni per cui essa era stata lanciata ed era ancora, più che mai, d’attualità in quell’ultimo scorcio del Novecento, dovrebbe indurre la sinistra a riflettere, a livello globale, sugli errori commessi nel dare ascolto agli incantatori di serpenti che parlavano di “fine della storia” e altre amenità. Bobbio li aveva avvertiti di non gettare via la mala applicazione dell’idea con l’idea stessa, continuando a battersi contro le disuguaglianze e a cercare insistentemente il senso della dignità umana e dei diritti inalienabili di tutti e di ciascuno.
Non fu capito né ascoltato, neanche quando ci mise in guardia contro il berlusconismo e le degenerazioni che esso rappresentava e avrebbe comportato. Per dirla con Moro, Bobbio è “un tempo da ritrovare”, una concezione della storia e delle sue evoluzioni che ha sempre al centro l’uomo, contro tutti i totalitarismi e le rispettive aberrazioni.
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