Nell’epoca dei nuovi totalitarismi, la globalizzazione uniformante e i nazionalismi etnici, la Chiesa di Francesco diviene la principale istituzione che si schiera a difesa del pluralismo. Dopo averlo fatto con la dichiarazione sulla Fratellanza umana, che invoca i diritti di cittadinanza per tutti, ora lo fa con il documento sinodale sull’Amazzonia, che fa della cultura e della spiritualità dei popoli indigeni l’argine per difesa del pluralismo umano e della vita, che non c’è senza terra. Ecco perché doveva necessariamente partire da qui una nuova proposta di ordine mondiale, quello dell’ecologia integrale al servizio della sviluppo umano integrale. Il Concilio Vaticano II comincia a prendere forma, a trovare attuazione, e la difesa del pluralismo culturale del mondo è certamente il tratto più importante per tutte le persone che oggi sentono di non voler sottostare ai nuovi totalitarismi ma non sanno riconoscerli con precisione.
Questa enorme operazione cultuale, spirituale e socio economica del sinodo ha ovviamente avuto nella curia romana molti nemici. Non tutti ritengono il pluralismo un bene e proprio il centralismo romano ha sempre pensato che il mondo dovesse uniformato a sé stesso. Ecco così che la citazione del poeta cattolico Charles Peguy spiega cosa è accaduto in questi giorni : “poiché non hanno il coraggio di essere con il mondo, pensano di essere con Dio. Poiché non amano nessuno, pensano di amare Dio.” Amando il mondo e gli uomini veri la Chiesa, davvero universale, difendendo le loro culture, le loro spiritualità, sceglie il pluralismo come suo DNA. E siccome la sua missionarietà non era più capace di offrire preti ai popoli amazzonici, per seguitare ad essere con loro aggiorna il suo modo di essere e riconosce la possibilità per uomini indigeni sposati di divenire sacerdoti. Nonostante i custodi della tradizione, che non è tale perché il celibato è divenuto obbligatorio molto tardi nel Medio Evo e per motivi pratici, abbiano tentato sino all’ultimo di impedirlo, i sacerdoti sposati in Amazzonia ci saranno, saranno i sacerdoti nei loro villaggi irraggiungibili e non raggiunti da anni nel disinteresse dei custodi della tradizione. Ora invece i sacramenti tornano in Amazzonia e la spiritualità dell’Amazzonia trova un ruolo e un peso nella spiritualità cattolica. Vediamo allora alcuni passaggi decisivi dei cinque capitoli del documento votato dai padri sinodali.
I) Conversione integrale. Vuol dire finalmente che non la follia del soggiogamento della terra ai propri fini anche speculativi non viene lodata ma condannata! E non per soltanto per calcolo di opportunità, ma per la scelta di relazionarsi in modo armonioso alla casa comune. dunque della globalizzazione uniformante viene respinto il paradigma economico , cioè lo sfruttamento indiscriminato delle risorse della terra per approfittarne e trarne un lucro distruttivo. Foreste distrutte, miniere clandestine: tutto questo si sapeva, molto la Chiesa ne aveva parlato. Ora si aggiunge che i popoli amazzonici hanno diritto a circolare liberamente nell’Amazzonia intera, senza barriere doganali, posti di frontiera e così via. Dunque nascerà un ministero dell’accoglienza perché la Chiesa deve facilitare tutte le forme di resistenza all’impedimento della libertà di movimento e contemporaneamente aiutare a innalzare i livelli di istruzione, sanità, vita decorosa nelle città della miseria.
Di qui ecco la seconda rivoluzione: la Chiesa deve davvero diventare anche amazzonica se vuole fare quel che dice. Essere nei popoli amazzonici vuol dire avere preti amazzonici, riti amazzonici, una trasformazione che renderà la denuncia degli abusi e delle violenze predatorie che quei popoli, e quei territori, subiscono quotidianamente denuncia di vita e non di racconto.
La terza rivoluzione parla difesa della vita. Appassionata da sempre della difesa della vita, la Chiesa con questo documento vede che difendere la vita vuol dire difendere la terra, non essendoci vita senza terra. E’ una difesa dunque meno ideologica e più concreta, umana, necessariamente ecologista, per l’ecologia integrale. Ecco perché non può essere una Chiesa dallo stile colonialista. Bello a dirsi? Sì, ma farlo vuol dire cambiare musica e infatti il Documento sinodale propone che i centri di ricerca della Chiesa studino e raccolgano le tradizioni, le lingue, le credenze e le aspirazioni dei popoli indigeni, favorendone l’opera educativa a partire dalla loro stessa identità e cultura.
La quarta rivoluzione è la scelta dell’ ecologia integrale. Questa scelta vuol dire che per curare le ferite dell’uomo vuol dire curare le ferite del territorio. “L’ecologia integrale non sia intesa come un cammino in più che la Chiesa può scegliere per il futuro, ma come l’unico cammino possibile per salvare la regione dall’estrattivismo predatorio, dallo spargimento di sangue innocente e dalla criminalizzazione dei difensori dell’Amazzonia.”
Si arriva così all’ultima rivoluzione, quella meno citata ma certamente fondamentale per il suo significato cattolico: il documento sinodale raccomanda la costituzione di una commissione che sappia dar vita a una liturgia che possa valorizzare la visione del mondo, le tradizioni, i simboli e i riti originari, dunque un vero e proprio rito amazzonico, che affiancherebbe i 23 riti già esistenti nella Chiesa cattolica.