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La “governance” della Rai oggi

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In tutta Europa il sistema radiotelevisivo è stato costruito sul modello del servizio pubblico, a partire dal più classico degli esempi, rappresentato dalla BBC di Lord Reith, che ne sintetizzava la missione nei  tre magici verbi: informare, intrattenere  educare. Tutto questo avveniva mentre negli Stati Uniti dominava il libero mercato con le sue leggi.

Negli anni ’80 anche in Europa arrivano i privati ed i servizi pubblici si trovano a competere su un terreno nuovo e difficile: il sistema misto.

Oggi, la nuova sfida è rappresentata dai nuovi media, dai social e dagli OTT. In questo nuovo scenario i problemi si moltiplicano per tutti, ma soprattutto per i servizi pubblici radiotelevisivi.

Hanno ancora senso alcuni principi, come il pluralismo, l’indipendenza, l’autonomia degli operatori, la par condicio o l’equal time? Ha ancora senso parlare di servizio pubblico? La nostra risposta è positiva, ma è indispensabile che la legge sia aderente ai dettati costituzionali.

Il principio enunciato dalla Corte costituzionale fin dal lontano 1974 statuiva con chiarezza:Che gli organi direttivi dell’ente gestore (si tratti di ente pubblico o di concessionario privato purché appartenente alla mano pubblica) non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da garantirne l’obiettività”. (Corte cost., n.225/74).

Bisogna bandire per la Rai ogni pratica di spoil system, è indispensabile che esista un diaframma netto tra la politica e la società. Il livello dei responsabili editoriali deve essere altissimo ed anche le regole sul finanziamento devono rispettare autonomia ed indipendenza dal Governo.

Uno dei punti del programma di Governo afferma che: “l’Italia ha bisogno di una seria legge sul conflitto di interessi e di una riforma del sistema radiotelevisivo improntato alla tutela dell’indipendenza e del pluralismo. Più in generale, il Governo porrà in essere politiche di promozione del pluralismo dell’informazione”.

E’ indispensabile anche un adeguamento alle normative internazionali. La nuova edizione della Direttiva sui servizi media audiovisivi (2018) stabilisce una trama di principi comuni. La direttiva sul Copyright, approvata in extremis dal Parlamento europeo, aggiunge altre regole, ma ci si domanda se tutto questo sia sufficiente? La domanda di fondo è sempre la stessa: come governare tutto questo?

Ed ancora: i principi democratici risultano, in questo scenario, potenziati o rischiano, se si sbaglia, di essere depressi?

*A margine del libro di Roberto Zaccaria “RAI. Il diritto & il rovescio” Passigli editori


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