Isis, al Baghdadi ucciso (o suicida) in un raid Usa. Trump: successo qualcosa di grande. Attesa per test Dna

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Bisognerà attendere i risultati del test del dna che l’esercito americano sta effettuando per poter confermare la morte del capo dell’Isis Abu Bakr al Baghdad, caduto in un raid americano nella Siria nord-occidentale. La sua più recente apparizione, a parte un audio diffuso a metà  settembre da Al Furqan, organo mediatico dell’Is,, risale a quattro mesi e mezzo fa. In un video con cui rivendicava -tentato di Pasqua contro i cristiano in Pakistan, il leader dello Stato islamico esortava a continuare ad “agire” contro i nemici dell’Islam.

La sua voce ferma e la determinazione nel continuare la jihad contro l’Occidente facevano temere in una nuova recrudescenza di attentati.

Nel corso degli anno è stato più volte per morto. Ma questa volta sembra davvero finita. La guida del gruppo islamista che più di tutti ha seminato terrore nel mondo sarebbe stato ucciso o, secondo fonti stampa, avrebbe azionato un giubbotto esplosivo saltando in aria con tre dei suoi figli.

C’è però chi avanza l’ipotesi che la sua morte risalga ad alcune settimane prima e che gli americani abbiano atteso, prima di darne notizia, per  questione di opportunità propagandistica.

La Casa Bianca ha annunciato che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump farà “una dichiarazione importante” alle 9 ora americana, le 14 qui in Italia senza fornire ulteriori dettagli. Ma il tweet del tycoon lascia pochi dubbi sull’argomento.

“È appena successo qualcosa di molto grande!”, ha twittato riferendosi  al raid americano in Siria che avrebbe portato, secondo quanto filtrato attraverso i media Usa, alla fine del Califfo.

Un colpo che Trump aspettava da tempo e che, sa bene, lo aiuter a riconquistare consensi perduti.

Gli Stati Uniti offrivano da anni un premio di 25 milioni di dollari per informazioni che potrebbero portare ad al Bagdhadi il quale, lo scorso aprile, era apparso anche in video. Nel corso degli anni ci sono state molte rivendicazioni sulla morte del capo di Daesh finora sempre smentite.

Abu Bakr al-Bagdhadi, nome di battaglia del terrorista iracheno Ibrahim Awad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarrai, è stato il volto del terrore seminato con una spietatezza mai così devastante.

Nato a Samarra il 28 luglio 1971  è asceso velocemente ai vertici del gruppo terroristico di cui si autoproclama ‘califfo’.

Prima della nascita dello  Stato Islamico, sorto nel giugno 2014 in alcuni territori tra l’Iraq nord-occidentale e la Siria orientale, l’allora semplice predicatore iracheno viene catturato a Falluja dagli americani in Iraq che lo tengono prigioniero per dieci mesi, fra febbraio e dicembre 2004. Perché venga rilasciato non è chiaro

Al Bagdhadi si rivelò al mondo cinque anni fa. All’inizio del luglio 2014, poche settimane dopo che l’Isis aveva preso il controllo della città di Mosul.  In un video che lo ritraeva nella moschea Al-Nouri pronunciò un sermone in cui ordinava ai fedeli musulmani riuniti di obbedirgli e si autoproclamava “califfo” di un territorio che si estendeva dalla Siria all’Iraq, ovvero dalla provincia di Aleppo fino a quella di Diyala.

Da allora, si sono succedute le drammatiche e sanguinose tappe dell’ascesa e della caduta dello Stato Islamico. Nell’agosto del 2014, i miliziani dell’Isis avviano nel nord dell’Iraq il massacro e la riduzione in schiavitù di migliaia di appartenenti alla minoranza religiosa degli yazidi, e cominciano a diffondere una serie di video nei quali vengono mostrate le decapitazioni di ostaggi occidentali. Nel settembre dello stesso anno, gli Stati Uniti danno il via ad una campagna di bombardamenti, colpendo anche la ‘capitale’ dell’Isis, Raqqa.

Ma è dal 2016 che vengono inflitti i colpi più duro al califfato di al Bagdhadi. Prima con la caduta di Raqqa e poi di Mosul. È iniziato così il ridimensionamento di Daesh, Ma nonostante la perdita del bastione iracheno dell’Isis, e prima ancora del controllo del territorio siriano, l’Isis non può essere considerato del tutto annientato. Neanche con la morte del proprio leader.

Per non parlare dell’instabilità nelle due città ex ‘capitali’ del terrore e delle altre realtà devastate dalla furia terroristica. Le popolazioni stanno affrontando una lenta fase di ricostruzione. condizionata da una delle crisi umanitarie più vaste al mondo. Sono milioni le persone che necessitano di aiuti e assistenza nel solo distretto nord orientale di Mosul. In poco meno di cinque anni di furia jihadista sprigionata tra Siria e Iraq sono stati distrutti 80 centri di cura su 98, 9 ospedali su 10, 63 luoghi di culto e gravemente danneggiati circa 11 mila edifici, 308 scuole e 12 centri educativi.
Come rilevava qualche settimana fa Medici senza Frontiere l’impatto del conflitto sulla popolazione è stato devastante soprattutto dal punto di vista sanitario. Migliaia i feriti di guerra soccorsi garantendo cure salvavita d’emergenza ma anche interventi di salute materno-infantile, effettuando parti d’urgenza e cure post-operatorie per tutti i pazienti che ne avevano bisogno.

Una devastazione e un stabilita che sarà lunga da recuperare. E la morte di Baghdadi influirà poco o nulla sul futuro di tutta la regione.


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