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Il punto di vista “senza filtri” sulla questione turco-siriana della giornalista e scrittrice Maha Hassan

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Il punto di vista “senza filtri” sulla questione turco-siriana della giornalista e scrittrice Maha Hassan, ospite della V edizione di Imbavagliati Festival Internazionale di Giornalismo Civile.

Come tutti i francesi, sono rattristata dall’attacco al quartier generale della polizia di Parigi giovedì 3 ottobre. Ma la mia tristezza, forse, supera quella dei francesi, perché sono anche curdo-siriana. Mi presento sempre come francese di origine curda. In Siria non mi sentivo una cittadina, ma lo sono diventata in Francia; una cittadina. Ho due cuori, uno francese e uno curdo. Oggi entrambi sono spezzati.

Domenica 6 ottobre 2019, ho seguito il dibattito serale con gli ospiti del programma France 5 che sono venuti a parlare del film Sœurs d’armes di Caroline Fourest.

Mi stressavo ascoltando la giornalista Caroline Fourest e l’attrice Amira Casar, temendo che dicessero qualcosa di inesatto sul mio paese. La presenza della scrittrice Patrice Franceschi, autrice del testo Mourir pour Kobané, nota per il suo impegno nella causa curda, mi ha rassicurata.

Ero orgogliosa di ascoltare queste tre grandi personalità che sottolineavano la lotta delle donne curde. Per me, l’apparizione delle donne Peshmerga è un simbolo della distruzione dello Stato Islamico; sappiamo che le donne curde hanno combattuto contro i membri del Daesh, fatto dimostrato anche nel film di Caroline Fourest.

I miei sentimenti erano divisi: mi sentivo triste per la morte degli agenti di polizia nella prefettura, ma allo stesso tempo rassicurata dall’esistenza dei combattenti curdi e dei loro amici francesi.

Lunedì mattina, 6 ottobre, i social network sono impazziti dopo il tweet di Donald Trump che ha deciso di ritirare i soldati americani dalla parte siriana del confine con la Turchia.

Come curda, so che i nemici di Erdogan non sono gli islamisti ma i curdi. Temo non solo per i curdi, ma anche per i francesi.

L’esperienza della battaglia di Afrine, soprannominata “Operazione Rameau d’Olivier” dall’esercito turco contro le forze curde, aveva introdotto nella zona laica curda la religione islamica, estranea agli abitanti di questa regione.

Prima di questa battaglia, i miei amici di Rojava mi parlavano del modo di vivere civile e dell’uguaglianza tra donne e uomini. Mi hanno esortato a venire a vedere questa incredibile democrazia, nonostante la guerra e i nemici della libertà.

Ma questo stile di vita si è dileguato a seguito dell’offensiva sotto gli ordini di Erdogan dell’esercito islamico, che considera i curdi come nemici in contrasto con gli islamisti fondamentalisti.

Se la Turchia potrà tornare di nuovo nel Rojava, ciò aumenterà ulteriormente le attività dello Stato islamico.

Un giorno parlerò del ruolo di Ankara che sostiene gli islamisti. Nel frattempo, condivido il link di un film appena uscito intitolato Turquie… La sage-femme qui a créé ISIS di Shiar Nayyo. Questo film spiega come la Turchia abbia partecipato attivamente alla creazione dello Stato islamico.

Martedì mattina ho visto in televisione l’omaggio reso ai quattro funzionari del quartier generale della polizia a Parigi, uccisi il 3 ottobre durante l’attacco perpetrato da Mickaël Harpon.

La rivelazione della scoperta di una chiave USB appartenente a Mickaël Harpon peggiora la situazione. Secondo Le Parisien, questa chiavetta contiene “file con numerosi video riguardanti la decapitazione di Daesh”.

Come giornalista e scrittrice francese e curda, sono doppiamente preoccupata per questa interconnessione: il terrorismo islamico in Siria, che colpisce la Francia. Sono sgomenta per i miei due cuori, che battono allo stesso tempo, quello francese e quello curdo.

Continuo a pormi la domanda, più precisamente dal 7 gennaio 2015, il giorno dall’attacco contro Charlie Hebdo: cosa posso fare?

E penso che potrei fare molte cose. Potrei spiegare come liberare i musulmani buoni dai cattivi e anche salvare l’immagine dell’Islam dagli imbroglioni che la manipolano!

Il primo punto in comune che trovo nella maggior parte degli assassini in nome dell’Islam è che queste persone sono nate in Europa e non parlano bene la lingua araba, la lingua del Corano. Hanno imparato l’Islam radicale dai criminali che hanno i loro programmi politici. Quindi questo Islam, presumibilmente jihadista, non ha nulla a che fare con l’Islam che abbiamo conosciuto e vissuto nei paesi arabi.

Parlo ancora come scrittrice di mia nonna musulmana curda che mi ha ispirato a scrivere i miei primi romanzi in arabo. Halima era la madre di un figlio comunista: mio padre.

Vide mio padre bere alcolici e lo pregò di smettere, rivolgendosi al cielo per proteggere suo figlio. Gamine, non avevo ancora trovato la mia strada. Ho confessato a mia nonna di essere atea e allo stesso tempo l’ho accompagnata alla moschea del quartiere durante il mese di Ramadan e ho pregato con lei.

Mia nonna non mi ha mai rimproverato per questo, mi ha accettato perché sperava che Dio mi indicasse la strada giusta.

Ecco un Islam che gli assassini non conoscono, un Islam spirituale e tollerante. Sono nata musulmano, da padre laico e madre praticante, ma sono stata fortunata a vivere la religione come una tradizione, non come una sacra confessione.

Mia madre non esitò ad assaggiare, per curiosità, il bicchiere di vino che beveva mio padre. Poi chiese a Dio di perdonarla. Mia madre, mia nonna e molte donne e uomini musulmani vedevano un Dio tollerante, non come una guardia carceraria. Questa è un’immagine imposta dagli imbroglioni che reclutano adepti per uccidere gli altri in nome di Dio!

Grazie alla mia educazione, sono cresciuta valutando in maniera critica questa tradizione e sono sfuggita alla prigionia di un’adorazione eterna.

Oggi in Francia abbiamo bisogno di presentare un’altra immagine dell’Islam; una storia aperta, tollerante e libera.

Penso molto ai bambini francesi di Daesh, quelli che erano con i loro genitori in Siria o Iraq. Questi bambini giocheranno un giorno il loro ruolo in Francia, ecco perché mi sento responsabile della lotta per il futuro, anche se il presente è ancora nero per me e non so a chi toccherà essere assassinato domani da questo terrorista. Ma non dobbiamo arrenderci, dobbiamo aprire un dialogo libero per strappare il terrorismo al terrorista, perché Daesh è una tendenza culturale e morale e per distruggerlo abbiamo bisogno di un’arma culturale.

Possiamo combattere il terrorismo aprendo le porte ai difensori della libertà: i curdi in Siria. Dobbiamo proteggerli militarmente e politicamente e anche comunicare con “intellettuali” impegnati nella lotta per la libertà religiosa culturale.

La guerra contro Daesh è divisa su due fronti: sul terreno in Siria e in Francia; e ovunque, per vincerla, ognuno deve combattere a modo suo.

Sono una donna curdo-francese, la mia lotta è in Francia, contro le idee terroristiche che minacciano il mio paese “Kurdistan” e minacciano anche il futuro del mio paese “Francia”. Noi curdi liberi, donne combattenti, giornaliste, scrittrici, ricercatrici… la nostra grande responsabilità oggi è lavorare insieme. Siamo tutti bersagli di Daesh e siamo tutti loro nemici.

traduzione di Eva Serio


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