BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

I nomi dei naufraghi

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La storia di Vito Fiorino il falegname che il 3 ottobre del 2013 a Lampedusa salvò 47 profughi eritrei dal naufragio della loro imbarcazione. Le storie di Ambasenger, Amanuel, Solomon e tanti altri, dei loro piccoli grandi passi sulla loro nuova strada in Europa.

Questa notte una piccola imbarcazione che trasportava una cinquantina di migranti verso l’Italia è naufragata a poca distanza da Lampedusa.
I giornali scrivono che la Guardia Costiera e la Guardia di Finanza hanno recuperato i corpi di due donne e che ventidue persone sono state messe in salvo e trasportate a Lampedusa. Dalle prime ricostruzioni sembra che la barca si sia rovesciata, affondando mentre le motovedette della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera avevano iniziato a trasbordare le persone. Ancora un naufragio, ancora morti.

Sbarchi, profughi, scafisti, naufragi, centri di detenzione, gestione dell’immigrazione, politiche migratorie, frontiere, trafficanti, sicurezza. Parole che leggiamo tutti i giorni sui giornali, parole che suscitano angoscia e preoccupazione.

Nel 2016 l’Italia ha istituito la “Giornata Nazionale per le Vittime dell’Immigrazione” . Si celebra il 3 ottobre, in ricordo della strage avvenuta il 3 ottobre del 2013: un peschereccio carico di migranti, quasi tutti eritrei – in fuga dal servizio militare permanente e da una delle peggiori dittature al mondo- colò a picco davanti alle coste di Lampedusa.

Morirono oltre 360 persone.
Qualcuno lo ha definito “il naufragio che doveva cambiare la Storia”.
I tempi della Storia sembrano ancora troppo lenti ad uno dei protagonisti di quella notte. Si chiama Vito Fiorino, un falegname di Sesto San Giovanni: era in vacanza a Lampedusa, a pesca sulla sua barca con un gruppo di amici quando sentì in lontananza delle urla disperate. Si avvicinarono nel buio in direzione delle grida e si ritrovarono in mezzo ad un’ecatombe. Centinaia di persone con le braccia alzate che sparivano inghiottite dal mare, quando si credevano ormai quasi in salvo, davanti all’isola simbolo, Lampedusa, porta dell’Europa.
Vito riuscì a dare l’allarme alla Capitaneria di Porto e a tirare a bordo 47 naufraghi eritrei (46 uomini e una donna) a rischio di far rovesciare la sua piccola barca.

Questa è una vicenda molto nota. Vito è stato intervistato sugli eventi di quella notte molte volte, ha ricevuto premi e riconoscimenti, in Germania hanno scritto perfino un testo teatrale sulla sua esperienza. La storia di un uomo normale che posto per caso di fronte ad un evento straordinario sceglie di rischiare la sua vita e fare la cosa giusta.
Anni fa l’ho intervistato sull’isola e nella sua falegnameria alle porte di Milano e siamo rimasti sempre in contatto perché la sua è una esperienza ancora in evoluzione.
La parte più interessante di questa sua storia però è forse quello che è successo dopo e il rapporto che Vito ha instaurato con le persone che ha salvato.
La tragedia li ha legati. Queste persone stavano per morire e lui li ha riportati in vita, lo chiamano “Papà” perché lo vedono come un padre.

Grazie a lui sappiamo come si chiamano, chi sono questi 47 naufraghi che riuscì a salvare, dove vivono, cosa hanno fatto in questi anni dopo la tragedia. Vito vuole bene a tutti, si interessa anche della sorte di quelli che vennero salvati da altre barche e li segue da lontano, ma con qualcuno ha un rapporto speciale. Come con Solomon e Amanuel. O come Ambasanger e Aregai, cui Vito il primo anno ha pagato il biglietto per Lampedusa in modo che potessero partecipare alla commemorazione delle vittime.

Per comunicare con loro Vito usa Google translate. Racconta sempre che si rammarica di non sapere l’inglese, ma che riescono comunque a capirsi. I naufraghi salvati da Vito sono finiti in Germania, in Belgio, in Olanda, ma la maggior parte è stata accolta con lo status di profughi politici in Svezia dove c’è una forte comunità eritrea e fino ad oggi un programma di integrazione e accoglienza tra i più generosi in Europa.
Per i primi due anni l’unico compito dei ragazzi salvati da Vito è stato quello di imparare bene la lingua svedese. Poi sono stati avviati al lavoro. Per esempio Ambasanger, che in Eritrea era un insegnante ora lavora in un centro per anziani, mentre Aregai, che era un militare, ha preso la patente ed è diventato autista di autobus. Molti hanno ottenuto il ricongiungimento familiare. Inoltre, spiega Vito, lo stato svedese presta a questi profughi del denaro per mettere su casa in modo che possano ospitare la famiglia. Soldi che dovranno restituire dopo qualche anno.

Anche io gli chiedo spesso come stia andando, che notizie abbiamo dei loro progressi. “Hanno tutti la loro macchina di proprietà!” risponde Vito per dare un’idea di come si è evoluta la situazione. “Mi hanno detto” continua Vito “che una volta imparato bene lo svedese, studieranno l’italiano per poter parlare con me”.

L’anno scorso Vito è volato a Stoccolma per andarli a trovare e vedere come si sono organizzati.
Quest’anno ha dato loro un compito molto particolare, quello di scrivere l’elenco con i nomi di tutti i loro compagni che sono morti nel naufragio. Dopo qualche mese ha recuperato 365 nomi (ne manca qualcuno, che nonostante gli sforzi non è stato possibile trovare). Poi li ha fatti incidere su un memoriale di sua ideazione, inaugurato nella piazza vicino all’ufficio postale di Lampedusa pochi giorni fa. Una cerimonia che Vito ha voluto si svolgesse alle 3.30 della notte tra il due e il tre ottobre, il momento esatto in cui la loro imbarcazione iniziò a colare a picco sei anni fa.

Nell’invito alla cerimonia c’era scritto “Per non dimenticare coloro che hanno cercato di raggiungere una vita più dignitosa e sono annegati insieme alle loro speranze. A loro dobbiamo molte risposte”.


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