Un capriccio autoritario di mezza estate del capitano Matteo Salvini ha ingrippato il motore del governo giallo-verde con la sabbia del Papeete e da qualche mojito troppo alcolico. Abbiamo cercato altre interpretazioni, meno grossolane ed emotive di questa imprevedibile crisi di governo ma non ne abbiamo trovate. Salvini non aveva una ragione una per liquidare un’esperienza politica dalla quale stava traendo il massimo profitto politico. Proponiamo di rubricare la “vampata d’agosto” salviniana nella categoria delle rodomontate un po’ furbesche che sfuggono di mano al suo autore.
È capitato al vecchio Montalbano – quello della Vampa d’agosto appunto – e può capitare al più giovane Matteo leghista. Per fortuna l’architettura costituzionale ha degli anticorpi alle bizzarrie di certa politica e così, invece che a subire il trauma di elezioni anticipate solo per dare soddisfazione a un leader politico, ci ritroviamo di fronte un Parlamento con pieni poteri controllato da una inedita maggioranza giallo-rossa. In realtà il giallo è assai più spento di quello originario del M5s che oggi vira nella più classica forma di partito; nato come soggetto antistituzionale che però in poco più di un anno ha imparato a gestire i meccanismi che la Costituzione affida ai parlamentari e alle Camere; un movimento populista che però ha capito alcune regole di base della rappresentanza parlamentare e dei meccanismi di governance europea; l’artefice di emozioni qualunquiste – vaffa! – che però ha accettato di negoziare nella più classica delle forme dello scambio politiche con vecchi volponi del negoziato come i dirigenti Pd zingarettiano, Franceschini in primis. Todo cambia, caballeros. E di fronte al rischio di una deriva autoritaria per altro limpidamente annunciata da Matteo Salvini quado ha rivendicato “pieni poteri”, il Pd si è fatto forza e ha accettato di mettere la sua stessa sopravvivenza nelle mani di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Se “andrà”, ci avrà risparmiato dosi letali di leghismo sovranista e xenofobo; se invece “la spacca” temo si aprirà un nuovo capitolo delle forze progressiste di questo paese, senza Pd o con un Pd ridotto a partito a una cifra.
Ma anche l’altro Matteo, quello toscano, ha avuto la sua “vampata” uscendo da un partito che aveva guidato e condotto in varie battaglie, forse anche giuste ma impopolari e perdenti. Qualsiasi sia il motivo di questa decisione – auguri! – soprattutto se saprà creare quel polo moderato e liberale di cui il sistema politico italiano ha un grande bisogno. Con più coraggio e maggiore autonomia da Berlusconi, quel polo sarebbe potuto nascere all’interno di Forza Italia ma Tajani e Carfagna non sono né Macron né Merkel e il partito assiste al suo mesto declino. Non sappiamo come andrà, ma abbiamo il diritto di sperare che il nuovo governo possa avere la vita lunga dell’intera legislatura e possa mettere mano ai drammatici problemi di un paese sfibrato da campagne elettorali permanenti e aggressive, da un linguaggio politico involgarito e barbarico e, soprattutto, da una costante incertezza su quello che accadrà domani. Chiunque legga i giornali e abbia un minimo di contatto col mondo reale – non quello virtuale dei social, sorry! – sa quali sono i veri problemi di questo Paese: economia ferma, disoccupazione giovanile oltre la soglia di allarme, infrastrutture carenti o logore, forza pervasiva di una criminalità organizzata che è risalita lungo la penisola ed è arrivata a controllare intere aree del Nord ordinato e prosperoso.
I sondaggi dicono che gli italiani hanno capito che sono questi i problemi veri e che non è vero che l’Italia arranca per colpa degli immigrati. Al contrario qualcuno si è convinto che l’immigrazione non è un problema ma un valore perché, a dispetto dei mantra salviniani, è sempre più evidente che quella regolare regala all’Italia punti di Pil, bilancia la piramide demografica, ci connette con quel Sud globale che, guardando al futuro, nessuno potrà ignorare o fingere di non vedere. Una immigrazione sana, legale e ben gestita è insomma una risorsa per il paese e l’Europa. Oggi, concludendo, scegliamo il “bicchiere mezzo pieno” e esprimiamo almeno una piccola, modesta speranza: il governo si impegni nella ripulitura del linguaggio. Basta con le gag da baraccone, con gli insulti da spogliatoio e le fanfaronate da “bar Sport”, basta con le ridicolaggine delle felpe e della magliette dei corpi militari, basta con i rosari e le Madonne esibiti come la Coppa dei Campioni. Dati, fatti, misura, rispetto, laicità. Non sarà la rivoluzione ma è il minimo del decoro istituzionale e delle correttezza democratica. Come diceva Moretti, «chi parla male pensa male», e la politica di oggi ha disperato bisogno di recuperare il senso e il rigore del pensiero.