Le immagini bombardano le case. Ormai siamo abituati a vedere la morte e il dolore rappresentati, i nostri sensi sono anestetizzati tanto che non fa più alcuna differenza se in televisione passano uno spot di raccolta fondi a corredo di spezzoni filmici spesso lesivi della dignità altrui, o se al telegiornale danno notizia di una strage, di una carneficina, e poi avvertono, questo sì, che le immagini potrebbero essere troppo forti per alcuni pubblici, o se ancora camminando per le vie di un centro storico cittadino d’un tratto ci troviamo di fianco a un ragazzo con gli arti mutilati dalla guerra che fatica mentre trascina il suo corpo gracile su uno skateboard arrugginito. Le immagini passano, anche quelle concrete, ma subito siamo portati a dimenticare, subiamo passivamente e come robot poi rielaboriamo in fretta l’effetto che altrimenti potrebbero avere su di noi per una rinnovata attenzione e una inaspettata sensibilità.
Sarà per questo che risulta particolarmente degno di nota chi ancora si reca in luoghi lontani per raccogliere testimonianze vive di chi, pur nella sofferenza, tenta di ritrovare normalità a partire da un’identità perduta e sottratta. Nel comune torinese di Chieri giovedì 10 ottobre alle ore 19 presso la Fine-Art Images Gallery verrà presentato il progetto fotografico “I was my husband” con gli scatti in bianco e nero del fotografo Valter Darbe e il libro con i testi della giornalista Tiziana Montaldo, e dell’attivista indiana Mohini Giri, candidata al Premio Nobel per la Pace, libro che quest’anno ha ricevuto la Menzione d’Onore al Prix de la Photographie Paris. “Ciò che più mi ha colpito della situazione delle vedove è la distruzione dell’identità della donne – moglie integrata nella società e la costruzione della donna – vedova, un non più essere” risponde la Montaldo quando le chiedo il motivo per il quale insieme a Darbe hanno sentito la necessità di approfondire e raccontare proprio questa storia. Di fatto, il lavoro messo a punto, promosso dall’associazione culturale “Six Degrees” e patrocinato dalla Ong indiana “Guid for Service” e dall’associazione “Se Non Ora Quando”, attraverso fotografie e tesi è ambientato in India, nella città santa di Vrindavan, dove molte donne, vedove, trovano rifugio dalle condizioni di vulnerabilità in cui versano: considerate portatrici di sfortuna sono isolate dalla vita pubblica e dalle loro proprietà, emarginate e discriminate sono spesso costrette a lasciare le loro abitazioni e i loro affetti, votandosi solo alla preghiera. Vittime sociali private di indipendenza economica e di istruzione. Quella città di religione induista è anche detta delle donne vestite di bianco, un luogo verso il quale il fotografo sembra essere stato attratto dal desiderio di “comprendere la relazione fra la condizione femminile e una società così intimamente permeata in ogni atto quotidiano” spiega Darbe, “una società che ha posto ai vertici politici, culturali e religiosi donne prestigiose ma che per effetto della tradizione religiosa subisce una frattura ampia e profonda che anche la secolarizzazione pare non riuscire a rimarginare”.
Al vernissage saranno presenti, oltre agli autori Valter Darbe e Tiziana Montaldo, la presidente Laura Onofri Grisetti della sezione torinese dell’associazione “Se Non Ora Quando”. La mostra sarà aperta fino al 27 ottobre il lunedì, mercoledì, venerdì e sabato dalle ore 15 alle ore 19.