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AOC, il sogno di una cosa

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Con i suoi trent’anni appena compiuti, la sua dirompente bellezza, la sua genuinità, la sua forza d’animo, la sua sincera passione civile e il suo coraggio di rompere gli schemi e dire apertamente che è arrivato il momento che il Partito Democratico “torni a casa”, cioè a sinistra e alle sue battaglie storiche, Alexandria Ocasio-Cortez è diventata un’icona mondiale del pensiero progressista. Se si considera poi che, prima dell’ascesa di Sanders, della sua straordinaria campagna elettorale del 2016, quando conquistò una ventina di stati senza mai smettere di rivendicare il suo essere socialista contro l’anacronistica Hillary, e della sua battaglia senza rete per rinnovare un soggetto che aveva smarrito nel tempo la sua ragione di esistere, Ocasio faceva la barista, si comprende la grandezza della sua figura e dell’America.

Con i suoi pregi e i suoi difetti, quel Paese grande come un continente possiede una virtù che noi europei dovremmo acquisire alla svelta: la resilienza, ossia la capacità di non arrendersi mai e reinventarsi sempre, di cambiare pelle, volto, prospettive e di rimettersi in cammino anche dopo le peggiori tragedie, e Trump è senza dubbio una di queste.

Se guardo all’America contemporanea, infatti, vedo sì il Partito Repubblicano più a destra di sempre, intento a esaltare l’uomo bianco e a consolidare la propria tribù a scapito delle minoranze, del buonsenso e delle evoluzioni che la società americana ha avuto e avrà nei prossimi decenni. Ma poi vedo anche Ocasio, Ilhan Omar, Beto O’Rourke, Ayanna Pressley, Rashida Tlaib, la lotta contro le disuguaglianze di Justuce Democrats e quella a favore dell’ambiente e contro i cambiamenti climatici di Sunrise Movement. Vedo i ragazzi di Jacobin che si sono inventati una rivista radicale e parlano senza remore di marxismo, elogiando il genio del pensatore di Treviri in un paese in cui il concetto stesso di comunismo è tuttora visto con sospetto e considerato da molti contrario allo spirito della nazione. Vedo le manifestazioni dell’indomita Jane Fonda e leggo su Foreign Affairs commenti che sarebbero stati impensabili fino a qualche anno fa. Vedo una ragazza di origini latinoamericane che vorrebbe candidarsi nelle file democratiche in Texas e penso al fatto che i repubblicani potrebbero perdere nel loro feudo storico a causa dell’eccessiva radicalizzazione e del disinteresse mostrato nei confronti delle minoranze in rivolta e desiderose di unirsi per cambiare lo stato delle cose. E rivedo, come per magia, lo spirito che nel 2008 portò Obama alla Casa Bianca, con la differenza che Ocasio e compagni incarnano una nuova generazione di democratici, interamente figlia di questo secolo e impegnata a modificare non solo l’agenda politica ma proprio i costumi di una nazione che ha elevato il consumismo sfrenato a dogma e che ora rischia di essere travolta dai propri demoni.

La parabola di Ocasio, il suo essere partita dai sobborghi del Bronx, il suo essersi fatta strada mettendo in evidenza le disparità che affliggono una città come New York, sconfiggendo, non per caso, il potente mandarino centrista Joseph Crowley alle primarie democratiche per il quattordicesimo distretto, il consenso che ha riscosso e continua a riscuotere e la sua grinta nel combattere per una società più giusta, ben cosciente di quanto sia in ballo nell’autunno del prossimo anno, le conferiscono una maturità che difficilmente si ravvisa nei ragazzi della sua età.

Ocasio è l’emblema non tanto del sogno americano che si realizza, anche perché, dopo l’11 settembre, anche questo paradigma appare ormai logoro e fuori dal tempo, quanto della capacità dell’America di lottare, se necessario, anche con se stessa, producendo nella stessa stagione Trump e la sua nemesi, il dramma e la riscossa, l’abisso e la speranza, a dimostrazione di una società viva e vitale come nessun’altra al mondo.

È dunque, volendo richiamare ancora il pensatore di Treviri, l’incarnazione del “sogno di una cosa”, che negli occhi di una trentenne di origini portoricane, orfana di padre e costretta a pagarsi gli studi svolgendo un lavoro umile, assume la grandezza necessaria per guardare lontano. E, come disse il vecchio senatore Kennedy a proposito di Obama, la sostengo perché so che non si dimenticherà mai da dove viene ma, soprattutto, che non si fermerà.


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