Abbiamo una sola casa

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di Yonatan Neril. Rabbino, fondatore e direttore esecutivo dell’Interfaith Center for Sustainable Development a Gerusalemme (www.interfaithsustain.com).

Nella tradizione ebraica molte riflessioni portano a vedere nella biodiversità del nostro Pianeta un’espressione della gloria del Creatore, una prova della Sua creatività straordinaria. Per questo, oggi più che mai, è importante far proprio un paradigma di presa di coscienza, di cura e rispetto. Una responsabilità condivisa per il bene di tutti.

Viviamo in un mondo straordinariamente vario, con circa otto milioni e 300mila specie diverse, e un numero quasi doppio ancora da scoprire. Come attesta Rabbi Shaul David Judelman, le fonti giudaiche insegnano che Dio gode della diversità e della continuità della creazione. Questa biodiversità è un’espressione della Sua gloria, una prova della Sua creatività straordinaria. Come insegna il Rabbino Capo Jonathan Sacks: «L’unità di Dio si trova nella diversità della creazione».

AVERE CURA DELLA CREAZIONE
All’inizio della Genesi la Torah descrive il dominio dell’uomo su tutte le cose. Ma, oltre ad essere utilizzate dagli esseri umani, tutte le specie hanno uno scopo proprio che trae origine da Dio stesso. Secondo il saggio Rav Talmudico: «Di tutte le cose che il Santo, sia Lui benedetto, ha creato in questo mondo, nessuna è stata fatta senza uno scopo».
Per esempio il Midrash (tradizione orale) insegna: «Persino le cose che ti sembrano essere superflue in questo mondo, come le mosche, le pulci e le zanzare, sono parte della creazione, ed esprimono la volontà dell’Unico Santo; anche il serpente, la zanzara e persino le rane!». Tutte le creature, dall’uomo al topo, dai fiumi alla sabbia, sono viste come manifestazione della sapienza e della gloria di Dio.
Per l’umanità questa biodiversità può essere fonte di sapienza e ispirazione. La Bibbia ebraica esprime un senso di apprezzamento profondo per il mondo naturale. Il Salmo 104 ci parla dell’habitat di molti animali e della perfezione con la quale esso concorda con l’ordine naturale: «Come per la cicogna i cipressi sono la sua casa, le alte colline sono un rifugio per le capre selvatiche, le rocce per i tassi». L’etica dei Padri ci insegna inoltre quello che possiamo imparare dalle altre specie. Yehudah Ben Teima afferma: «Sii audace come un leopardo, disinvolto come un’aquila, corri come un cervo e sii coraggioso come un leone per fare la Volontà del tuo Padre celeste». Il grande saggio ebreo Maimonide, infine, riteneva che contemplare la creazione ci aiuta a dare compimento al comandamento dell’amore per il Creatore. Egli ha scritto: «E qual è il modo di amare Dio e temere Dio? Quando una persona contempla l’incredibile creazione e le grandi creature e vede in loro la saggezza inestimabile e senza limiti di Dio, [quella persona] amerà e implorerà e desidererà una grande spinta a conoscere il Grande Nome. Come disse il re Davide: “La mia anima è assetata di Dio, la Fonte della Vita” […] Come i saggi dissero riguardo all’amore, cioè che attraverso l’amore di Dio siamo venuti a conoscere [Colui che] parlò e il mondo venne ad essere».

FARE BUCHI NELLA BARCA
Il premio Nobel Toni Morrison racconta la seguente storia: una bimba con un passerotto tra le mani si recò da una persona saggia. La giovane chiese: «L’uccellino è vivo o morto?». Se la risposta fosse stata “morto”, allora
avrebbe aperto le mani. Se invece avesse detto “vivo”, allora avrebbe chiuso le mani e ucciso l’uccellino. Intuendo le sue intenzioni, rispose allora la saggia: «Non so dire se il passerotto sia vivo o morto, ma dico che il suo destino è nelle tue mani». Oggi noi non abbiamo per le mani solo un passerotto, e neanche tutti gli uccelli della terra, bensì tutti gli esseri viventi del nostro pianeta, inclusi noi stessi, sette miliardi di essere umani.
La Terra è la nostra nave collettiva. Saltar giù dalla nave è fuori questione, dobbiamo comprendere come farla funzionare qui e ora, insieme.
Un antico detto ebraico di duemila anni fa ci può aiutare in tal senso. Rabbi Shimon bar Yochai racconta di un gruppo di persone che viaggiavano su una barca. Una di loro prese un arnese appuntito e cominciò a fare un foro vicino a sé. I suoi compagni di viaggio gli dissero allora: «Perché ti comporti così?». L’uomo rispose: «Perché ve ne preoccupate? Non vedete che sto forando il mio spazio?». Allora gli dissero: «Ma così farai affondare la barca, con tutti noi!».
Immaginiamo di essere un passeggero di quella barca, e che una persona, senza preoccuparsene, mettesse a repentaglio la nostra incolumità sicurezza. Chi trafora il proprio posto sulla barca potrebbe persino avere motivi validi per farlo. Per esempio potrebbe voler pescare, mosso dalla fame. Oppure potrebbe voler raggiungere l’acqua per rinfrescarsi, o pulirsi. O, trovandosi su un lago, spinto dalla sete potrebbe voler bere acqua dolce. Non importa quanto sia razionale il motivo: fare un buco su una barca per assecondare i desideri di uno solo mette a rischio la salvezza di tutti.
Sulla barca in comune che chiamiamo Terra, miliardi di persone stanno facendo dei buchi. Qualcuno ne fa più ampi di altri. Per comprenderne la portata potremmo misurare in che modo ciascuno di noi impatta sull’ambiente oppure l’emissione di CO2 di ciascuno. Oppure potremmo calcolare l’ammontare delle risorse che ogni persona consuma, e il totale dell’emissione in atmosfera di diossina, metano, gas refrigeranti Hfc – aria condizionata e frigoriferi per esempio – che sono causa del cambiamento climatico. Grazie a Dio che ci ha consegnato una barca grande e durevole dove vivere! Per centinaia d’anni gli oceani, le foreste boreali, le foreste pluviali hanno assorbito una quantità tremenda di nostre emissioni di carbonio e s’indeboliscono, dato che la popolazione e i consumi continuano a crescere. Se facciamo troppi buchi e distruggiamo il clima, allora noi e le prossime generazioni pagheremo a caro prezzo i nostri consumi eccessivi. Questo è da considerarsi un principio sia teologico che scientifico.
D’altra parte non è una coincidenza se alcuni degli insegnamenti più profondi sull’ambiente possiamo desumerli dalla condizione che vive una persona su una barca. Si ha infatti un livello differente di preoccupazione per la propria incolumità quando ci si trova circondati dalle acque piuttosto che dalla terraferma. Chi si trova su una barca si sente in dover di agire se qualcun altro si comporta fuori dalle righe: perché percepisce in maniera diretta il danno, e il fatto che è in ballo la sua stessa vita.

UN PIANETA SOSTENIBILE
La metafora della barca ci consegna dunque il paradigma di come si dovrebbe vivere su questo pianeta: un paradigma di presa di coscienza, di cura e rispetto. La sfida dei nostri tempi è renderci conto del danno che non percepiamo perché appare indiretto. Accendere il motore di una macchina, una luce, o l’aria condizionata non surriscalda istantaneamente la Terra e non scatena una terribile tempesta. Tuttavia, stiamo facendo buchi, senza afferrare pienamente l’impatto delle nostre azioni. Se invece comprendessimo cosa accade, come potremmo allora guardare i nostri figli negli occhi e dire loro: «Stiamo compromettendo il vostro futuro, e pagherete il prezzo del nostro stile di vita»?
Per essere all’altezza di questa sfida definitiva della civiltà umana, dobbiamo innalzare il livello della nostra coscienza e della nostra maturità spirituale. Una persona può vivere diversi livelli di coscienza spirituale, e un pianeta sostenibile richiede che si lavori su noi stessi per vivere ai massimi livelli di presa di coscienza.
Per affrontare le sfide del nostro tempo, dobbiamo saper guardare in grande. Come dice il saggio ebreo Hillel: «Se non ora, quando?». Se la Terra è la casa dell’umanità, allora abbiamo una responsabilità condivisa gli uni con gli altri. Ciò che fai tu, e ciò che faccio io, conta. Per noi e per tutti gli altri sulla barca.

 

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