Anna Politkovskaya, nata nel 1958, aveva lavorato per anni alla Novaja Gazeta e vinto nel 2001 un global award di Amnesty international per il giornalismo in difesa dei diritti umani e nel 2003 il premio dell’ Osce per il giornalismo e la democrazia. Anna era famosa per i suoi articoli sulla questione Cecena e per il suo atteggiamento critico nei confronti della politica di Vladimir Putin sia in Cecenia che, in generale, sui diritti umani. Famosi erano i suoi reportage e il suo linguaggio chiaro, rigoroso e comprensibile a tutti. “L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede”, diceva.
Secondo quanto dichiarò il direttore di Novaja Gazeta dopo l’assassinio, la Politkovskaya stava per pubblicare un lungo articolo sulle torture perpetrate dalle forze di sicurezza cecene legate al primo ministro, Ramsay Kadyrov.
Oggi, dopo tredici anni, non si sa ancora chi sia il mandante dell’omicidio di Anna. Ci sono stati tre processi, al termine dei quali la giuria popolare del tribunale di Mosca ha condannato 5 uomini, tra cui l’esecutore materiale dell’omicidio, ma nessun mandante. Nel luglio dell’anno scorso, anzi, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Russia per non avere mai condotto un’inchiesta efficace su chi abbia effettivamente commissionato il delitto.
Anna era una giornalista scomoda per il potere, una donna coraggiosa che ha anteposto la ricerca della verità alla propria sicurezza personale. La sua morte ha avuto un’eco enorme in tutti i Paesi democratici. In Italia le sono stati dedicati libri, opere teatrali e anche strade o giardini, come il giardino di Milano che porta il suo nome, alla base di piazza Gae Aulenti. In Russia, il suo Paese, solo una piccola targa accanto alla porta del palazzo dove viveva e dove è stata uccisa, ricorda questa grande donna.
È importante che tutta la comunità internazionale continui a chiedere la verità sulla morte di Anna. Noi non dimenticheremo.