Il Martin Eden di Pietro Marcello è un pastiche di segni e riferimenti culturali che si intersecano creando una sorta di “Isola che non c’è” dove è inscenato il secolare scontro tra socialismo e capitalismo. Il film, tratto molto liberamente dal romanzo di Jack London, è ambientato infatti in una Napoli astorica dove i ricchi borghesi sembrano usciti da un dipinto di Manet e il proletariato da un film neorealista, però con televisori anni ’80.
Martin Eden all’inizio è un marinaio godereccio, privo di istruzione e inconsapevole della propria condizione sociale. Solo quando entra in contatto con la famiglia Orsini e in particolar modo con Elena la sua prospettiva di vita cambia. Si rende conto infatti della sua limitatezza culturale e per amore della giovane deciderà di cambiare e di acculturarsi, aspirando addirittura a diventare scrittore. Durante il suo processo di trasformazione incontra Russ Brissenden, un intellettuale socialista che gli aprirà gli occhi riguardo la condizione miserevole dei lavoratori. Martin da quel momento si dividerà tra individualismo artistico e impegno politico. Dopo alcuni anni finalmente riscuote il successo letterario che ha sempre sognato, ma ormai è troppo tardi, perché nulla sembra più scuoterlo dal suo nichilismo autodistruttivo.
Secondo questa trasposizione cinematografica, Martin Eden non sembra avere un’identità definita ma mutevole quanto i suoi desideri. Prima infatti è affascinato dal mondo patinato e aristocratico degli Orsini e si impegna in ogni modo per farne parte. Quando si rende conto che non sarà mai accettato si lega a Russ Brissenden e ai suoi ideali rivoluzionari. Questa sua vacuità è evidente nella scena ambientata durante la cena con Elena, i genitori e il giudice Mattei, quando Martin si lancia in un’appassionata invettiva contro la borghesia, che tutti i presenti un po’ imbarazzati riconducono alle esatte parole di Herbert Spencer, che poco tempo prima era stata la stessa Elena ad avergli fatto scoprire.
Anche il cast, come gli altri aspetti del film risulta eterogeneo e così accanto all’immenso Carlo Cecchi, che come sempre aggiunge luce e poesia, c’è una spaesata Jessica Cressy che con il suo ingiustificato accento francese, a volte appare un po’ fuori luogo. Luca Marinelli interpreta Martin Eden con molta convinzione, forse troppa, tanto che nell’ultima parte del film sembra un po’ cadere nell’istrionismo. Un ruolo in ogni caso molto impegnativo che gli ha fatto vincere la Coppa Volpi all’ultimo Festival di Venezia.
Martin Eden come i precedenti film di Pietro Marcello è un’opera singolare che sfugge alle classificazioni, un progetto ambizioso che tenta di portare uno sguardo autoriale nel cinema mainstream. Un film narrativo, il cui montaggio si avvale di immagini di repertorio creando associazioni intellettuali ispirate alle teorizzazioni di Sergej Eisenstein. A Venezia ha fatto innamorare i critici e sarà interessante vedere se sarà capito ed apprezzato anche dal pubblico pagante delle sale.
MARTIN EDEN