Monica Guerritore, una donna, un’attrice: una con la A maiuscola che ha esordito con Strehler quando aveva sedici anni e da allora ha percorso una strada lunga, piena di successi ma anche di scelte difficili, una donna bellissima e di gran fascino che non ha mai “fatto uso” della sua bellezza ma ci ha lavorato sopra, come solo le grandi attrici non dive hanno saputo fare.
Dopo l’autobiografia, La forza del cuore, pubblicata nel 2006, la Guerritore torna a scrivere raccontando una storia tragica, la storia di un femminicidio “illustre”, avvenuto nel 1911; illustre perché la donna uccisa dal suo amante è Giulia Trigona, zia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La scelta del titolo annuncia la formula narrativa che è stata scelta: Quel che so di lei (donne prigioniere di amori straordinari). Donne, appunto, non soltanto la storia di una donna ma storie di donne che la Guerritore ha conosciuto bene: le ha interpretate da attrice e da regista. I personaggi femminili, tutti intensi, complessi, sfaccettati, che hanno segnato le tappe della sua carriera teatrale e cinematografica: da La Lupa a Lady Macbeth, alla Signorina Giulia, a Madame Bovary, a Carmen a Oriana Fallaci…sono tutte legate dalla narrazione di questa interprete mutante che presta la sua anima al racconto e lo fa vivo.
In questo libro non troviamo un romanzo, non nel senso classico del termine. E’ piuttosto la storia di Giulia che entra in un intreccio di donne che si legano in una simmetria perfetta: solitudine e solitudine, abbandono e abbandono, distruzione e distruzione, perdita e perdita, disperazione e disperazione, passione e passione. Il risultato finale è un labirinto di rappresentazioni letterarie dove l’attrice che si fa scrittrice ci tende il filo del percorso per raggiungere l’uscita affiancandosi alle eroine che usa per comprendere l’assurdità della storia di Giulia. Sullo sfondo la Sicilia di quell’epoca, una Sicilia da Gattopardo, elegante, nobile e decadente.
La chiave di lettura ce la fornisce la stessa Guerritore nell’introduzione da scrittrice che conosce la nobile arte di uscire da se stessi per entrare in altri corpi; l’autrice si affianca a Giulia, le cammina a fianco per registrare le scene di quell’ultimo pomeriggio della sua vita. Poi, la storia si amplifica e si chiarisce attraverso altre storie, storie celebri di donne della storia del teatro e della letteratura che sono tutte, ognuna a suo modo, l’incarnazione dell’essere donna. C’è “la perdita e il mutamento” di LjubovAndreevna nel Giardino dei ciliegi, e c’è la passione sfrenata, “bestiale” della Gna Pina nella Lupa di Verga, una donna che rifiuta la maternità per seguire i suoi istinti andando incontro a una morte atroce ma risolutoria come quella di Carmen. Poi c’è l’insoddisfazione autolesionista di Madame Bovary e il fallimento del progetto di vita di Scene da un matrimonio…A queste donne, con le quali l’attrice si è confrontata e identificata, si aggiungono quelle che ha ideato e portato in scena come regista inventando o reinventando una nuova narrazione: Oriana Fallaci e la protagonista di Mariti e mogli, il film di Woody Allen che la Guerritore ha riscritto per il teatro per “inventarsi lievi”.
Si aggiungono, poi, una serie di femminicidi di oggi, tratti da una cronaca recente, sono uno speculo atroce a sostegno della veridicità delle storie raccontate, per l’eterna, orribile, attualità del tema trattato. Ciò che lega queste donne è un destino crudele, un esito funesto al quale arrivano per aver troppo amato o scambiato per amore vero il loro disperato bisogno di amore.
Il racconto è anche un saggio di letteratura teatrale – le opere citate ci vengono spiegate, sono analizzate nei loro messaggi e personaggi – che comprende una storia del teatro italiano del Novecento coi suoi protagonisti attori, registi, produttori. Ma soprattutto il libro ci spiega il teatro. Molti attori hanno raccontato e analizzato l’alchimia dell’interpretazione, il gioco della costruzione del personaggio prima di andare in scena. Monica Guerritore qui ci porta per mano in teatro insieme a lei, ci fa entrare dall’ingresso degli artisti in platea, quando le luci sono spente e i macchinisti all’opera, ci fa entrare in camerino, nel tempio sacro dove la donna esce da sé ed entra in quell’altro da sé che le apparterrà per sempre e la trasformerà: …chi entra in scena non sono più io ma un grande corpo invisibile creato dalla mia intelligenza e allenato alla palestra dei sentimenti, un corpo che sera dopo sera e donna dopo donna cambia, trasforma me e il mio cuore.
A una struttura labirintica corrisponde uno stile lineare ma raffinato, dove il punto di vista muta a seconda dei momenti della narrazione, ma la costante è sempre quella di attirare, risucchiare il lettore dentro le vicende parallele di queste donne prigioniere e, come una testimone oculare, la narratrice ci racconta Quel che so di lei. Il filo conduttore è lei, Monica, con la sua vita, i suoi successi e fallimenti, la sua crescita, i suoi amori, il matrimonio fallito, le figlie, il compagno dell’età matura. Sul finale, senza melodramma, senza indugiare su pietismi inutili, la Guerritore dà una lezione di vita a tutte noi (donne fuori dalla finzione): una lezione professionale, l’esempio le viene dalla vicenda di Oriana Fallaci, una lezione di vita, ma anche una lezione d’amore, quello vero.