Nel 2015 il Governo ha proposto e il Parlamento ha votato una legge sulla Rai, che lascia aperti ancora diversi problemi. Ecco alcune proposte per riportare il “modello Rai” più vicino alla Costituzione e all’Europa. Una condizione preliminare: non si scelga mai la strada del decreto legge. Non ci sono le condizioni costituzionali di necessità e di urgenza e la materia non lo consente.
Aggiungo un sintetico elenco alcuni principi di merito. Certo, avendo più spazio, si potrebbe parlare di altre cose. Un governo diverso che nasce ha le credenziali migliori per affrontare certi temi delicati.
Non basta dichiarare che la riforma della Rai deve mettere i partiti fuori dalla televisione pubblica. Questo va bene. L’abbiamo detto fino alla noia. Vorremmo aggiungere che dalla televisione pubblica devono essere tenuti fuori, sia i partiti che il Governo, almeno come forza condizionante. Se uscissero i primi e restasse egemonre il secondo sarebbe una iattura e non si rispetterebbe il principio enunciato dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza n.225 del 1974.
“Che gli organi direttivi dell’ente gestore (si tratti di ente pubblico o di concessionario privato purché appartenente alla mano pubblica) non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da garantirne l’obiettività”. (Corte cost)
Quando diciamo fuori: diciamo e ripetiamo che non abbiano un’influenza dominante. Come realizzare questa condizione? Ispirandosi in parte al modello francese ed in parte al modello inglese. La proprietà delle azioni deve transitare dal Governo ad un altro soggetto che possa funzionare da diaframma tra la politica e la Rai. I poteri della proprietà sono inevitabilmente invasivi.
Una Fondazione può andare bene (Proposta Gentiloni) ma l’importante è che il suo vertice sia capace di rappresentare,al meglio,la complessità e il pluralismo (sociale, culturale, ideativo, produttivo, tecnico) della nostra società (Proposte De Zulueta, Giulietti e Zaccaria, d’altri tempi). Da quella fonte vengono scelti gli amministratori della società.
Il passaggio decisivo è rappresentato dai requisiti (elevati) per accedere sia al Consiglio della Fondazione, che al Consiglio della Rai. Non basta la “riconosciuta (da chi?) competenza. L’indipendenza si gioca su quei requisiti e sulla trasparenza delle scelte. E’ indispensabile un confronto pubblico delle candidature ed una scelta garantita al massimo livello.
Credo che per offrire questa garanzia debbano impegnarsi sia la Presidenza della Repubblica, che le Presidenze delle Camere, proprio così come avvenne nel 1993. E si ricordi sempre che tutti questi soggetti hanno il “dovere” istituzionale di garantire le minoranze.
La legge deve indicare gli obblighi principali di servizio pubblico. Il Contratto di servizio deve specificarli, avendo cura di sceglierli e non mettendo tutto. Il Parlamento può esercitare in prima persona e in maniera più autorevole le competenze d‘indirizzo, valendosi in fase preparatoria delle sue commissioni. I pareri parlamentari non possono avere appello. Le Authority sono importanti, ma vanno riformate. Non tutte hanno una consolidata tradizione d’indipendenza. Possono esercitare funzioni regolamentari e soprattutto di controllo, ma non di nomina, almeno fino a che non avranno dimostrato una seria indipendenza. Devono garantire molto più seriamente la par condicio.
Due soli paletti ancora. Il conflitto d’interessi, prima di tutti. E’ indispensabile che nella legge vi siano precise incompatibilità che rendano impossibile attribuire posizioni di responsabilità nella televisione pubblica a chi versi in condizioni di potenziale conflitto con i suoi interessi.
Il finanziamento infine. Il punto è tra i più delicati. E’ rimasto critico pur dopo l’apprezzabile riforma che ha ancorato alla bolletta elettrica il pagamento del canone. Rimangono profili di discrezionalità molto discutibili. (Ad esempio per quanto riguarda la gestione dell’extra gettito). La Rai ha necessità di poter effettuare una programmazione economico-finanziaria di lungo periodo. Una televisione pubblica finanziata con discrezionalità dal Governo, sia pure attraverso la legge di bilancio, getterebbe alle ortiche ogni speranza di seria indipendenza. Dare un’occhiata in proposito, e non solo, alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa.
PS Mi permetto di rinviare, per considerazioni più approfondite, al mio recente libro Il diritto e il rovescio, Passigli Editori, 2019 che dovrebbe essere presentato alla FNSI il 7 ottobre 2019