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“Pennivendolo”. Il boss Augusto La Torre ha diffamato un giovane giornalista di Caserta, a febbraio il processo

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Guai a scrivere di un boss del calibro di Augusto La Torre e peggio è riportare con precisione i suoi contatti sul territorio, prova del potere che ha esercitato. Può “costare” insulti e attacchi gravissimi come è accaduto a Giuseppe Tallino, giornalista di Grazzanise che per “Cronache di Caserta” segue la giudiziaria del litorale di Mondragone, dove, appunto, La Torre è stato imperatore incontrastato persino dai Casalesi. Ma questa volta il capoclan dovrà rispondere di diffamazione a mezzo stampa per una sua intervista rilasciata (dal carcere) ad un giornale on line della provincia di Caserta che contiene affermazioni gravi nei confronti del giovane cronista, peraltro riportando il  nome e il cognome quasi ad indicarlo agli aderenti alla cosca che, secondo la Dda, si sta ricostituendo sul territorio.

Augusto La Torre è stato citato a giudizio dalla Procura di Napoli nell’udienza davanti al Tribunale fissata per il 26 febbraio 2020 e nella quale dovrà rispondere di diffamazione in danno del giornalista, poiché nell’articolo comparso su un quotidiano web il 4 giugno 2018 ha offeso la reputazione del cronista. “… Un certo Tallino – dichiarò il camorrista -, pseudo giornalista, altro lecchino che non solo scrive menzogne, non legge gli atti processuali, limitandosi a trascrivere le parti che gli passa qualcuno che è dovuto al segreto istruttorio”. La Torre ha esplicitamente attaccato la magistratura che segue il suo caso e che avrebbe “osato” passare le carte al giornalista.

Ma che cosa ha fatto arrabbiare così tanto Augusto La Torre da spingerlo ad essere così diretto verso Tallino e il pm? Semplicemente uno dei molti articoli d’inchiesta sulla camorra casertana in cui si fa riferimento ad un presunto incontro avvenuto tra La Torre e Nicola Bifone per la consegna di una pistola. Ed il boss dei Chiovi (il nome storico dell’organizzazione mondragonese), nell’insultare il giovane, cita proprio questo passaggio: “Vede, quando parlo di pennivendoli e di asini patentati, la vergogna del giornalismo, mi riferisco a questi signori…”.  Per comprendere la portata dell’attacco diretto al giovane giornalista di Caserta bisogna descrivere il personaggio Augusto la Torre: in carcere a Campobasso, ama essere definito “boss psicologo” perché ha conseguito la laurea da detenuto. Per anni ha guidato il clan che porta il suo nome, un gruppo sanguinario e senza scrupoli che opera lungo il litorale di Mondragone; si è autoaccusato di una cinquantina di omicidi, è divenuto anche collaboratore di giustizia, ma ad un certo punto la magistratura ha ritenuto non utili o comunque riduttive le sue rivelazioni. Per questo nella stessa intervista in cui se la prende con Giuseppe Tallino accusa i pm di accanimento investigativo nei suoi confronti o di mala gestione dei pentiti a proprio danno.

In questa storia emerge inoltre con chiarezza la portata intimidatoria e molto pericolosa delle affermazioni, fatte indicando il nominativo del giornalista. “Lavoro da anni in questo territorio, quando è stata pubblicata quella intervista la cosca La Torre era finita di nuovo sotto i riflettori dei media e degli inquirenti: poco dopo è stato scarcerato il fratello del capoclan. Incontrare sodali di quell’organizzazione per noi che lavoriamo in piccole realtà è un ‘fatto’ comune: può succedere per strada o nei tribunali. Essere additato da uno come da Augusto La Torre ha un peso purtroppo”, dice Giuseppe Tallino, che in questi mesi ha continuato a seguire le vicende giudiziarie del gruppo di Mondragone e delle altre formazioni della camorra casertana. “E’ la mia professione e continuerò a farlo. La vicenda che mi ha coinvolto è indicativa di un clima  che circonda l’informazione in questa zona: spero che il processo e l’eventuale condanna per diffamazione servano a stabilire il rispetto per il mio lavoro e per quello di tutti i giornalisti”

(Nella foto Giuseppe Tallino)


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