L’arte di dividersi a sinistra e la fuga di Renzi del Pd

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La liquidità della rappresentanza politica italiana si manifesta da un po’ di tempo sempre con più frequenza sconcertando tutti i cittadini e ogni democratico progressista. Gran parte dei dirigenti di partito si pronunciano contro l’esistenza delle correnti interne, ma, intanto, tanti di essi cercano di consolidare il potere della propria escludendo le altre.
Alcuni capi partito prediligono il loro leaderismo come uomo solo al comando e non come egemonia politica e culturale riconosciuta. Il “capitano” in nome del sovranismo e populismo di destra, l’altro “Matteo” in nome di un populismo autodefinito “liberal-democratico”. Qualche ora dopo la nascita faticosa del governo Conte 2, sulla base di un accordo programmatico che contiene forti impegni di discontinuità col governo gialloverde, si è manifestata una nuova scissione del PD. Come se nella storia della sinistra ogni scissione non le avesse portato sciagure, indebolimento sociale e persino tragedie come quelle del fascismo. Inoltre quasi tutti i partiti hanno parlato di superare la diseguaglianza sociale, ma pochi sono andati a parlare e ad organizzare i diseguali, i nuovi poveri del ceto medio, quelli assoluti, i giovani laureati migranti, fuori da ogni retorica demagogica. Il governo giallo-rosso, come abbiamo già scritto, ha un compito difficile per sconfiggere il populismo e l’aggressività della destra. Alcune parti del governo non hanno voluto fare alcuna analisi autocritica del loro passato nei governi di centrodestra, come in quelli di centrosinistra. Avere alimentato il clima d’odio nel paese, aver soffiato sui bisogni sociali non per risolverli, ma per sfruttare l’insicurezza o le paure sociali per avere consenso politico o avere proposto una riforma scolastica respinta da tutti i docenti (di sinistra e di destra) o un Job Act rifiutato dai sindacati, non è stato oggetto di un’attenta analisi. Più comodo trasformare la comunicazione mediatica della politica del “presentismo” che analizzare i riflessi sociali, economici, culturali, ambientali prodotti dalla globalizzazione neoliberista non adeguatamente contrastata nella società nazionale e nel pianeta.
Il Conte 2 si è posto alcune azioni in tal senso: ne hanno discusso i tre attori che subito dopo sono diventati quattro. Per scelta di potere? Per poter negoziare ricavandone qualcosa per sé (sempre in nome del potere)? La legge di bilancio è il primo scalino che il Conte 2 deve salire rapidamente, insieme a tutti gli altri necessari per la crescita già individuata nel programma di governo.
Partendo dalla società, dalla sua complessità e dalle sue categorie e classi, mobilitando i soggetti intermedi, dai sindacati alle organizzazioni professionali, dal Terzo settore alle imprese, ai Comuni e alle Regioni in un grande sforzo per la semplificazione della spesa, per accelerare gli investimenti produttivi e sociali.
Ottenere risultati a breve in un’ampia prospettiva di cambiamento strutturale del rapporto Nord/Sud, dello sviluppo ecosostenibile, in una visione di unità europea impegnata a battere sovranismi, populismi e salvaguardare la pace.
Tutto ciò sarà possibile solo con una forte coesione politica del governo e con una ripresa di radicamento degli attuali partiti nei territori del paese. La battaglia si vince non solo formando nuovi gruppi parlamentari, ma organizzando in modo nuovo giovani, donne e uomini, partendo prima di tutto dal loro diritto al lavoro e alla libertà dal bisogno.


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