Sacrosanto l’appello promosso dall’Associazione Carta di Roma e rivolto al governo che si sta formando perché adotti e promuova un linguaggio istituzionale non più violento sul tema delicatissimo delle migrazioni. Lo ripetiamo ancora una volta: nessuno chiede che i problemi esistenti in materia di accoglienza e integrazione vadano edulcorati. Ma non è più tollerabile che, all’opposto, le criticità vengano strumentalmente esacerbate ai fini del consenso politico-elettorale, dipingendo la realtà italiana a tinte così fosche da alimentare un odio diffuso: tanto diffuso da allarmare gli organismi internazionali di monitoraggio (come ci ha ricordato Daniela De Robert citando il recente Rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani).
Le responsabilità di una certa politica sono sotto gli occhi di tutti. Ma non avrebbero prodotto conseguenze tanto devastanti se non avessero trovato e trovassero sostegno, alimento e rilancio – oltre che nel mondo dei social – anche in una parte dell’informazione professionale, che non solo ha fatto e fa volentieri da cassa di risonanza, ma ci mette del suo. Se serve un esempio, prendo un titolo comparso ieri sulla prima pagina de La Verità: “Il frutto dell’invasione/ Muore italiano: lavorava come schiavo nei campi”. La notizia l’hanno data parecchi giornali: un bracciante 55enne campano stroncato da un malore mentre lavorava a raccogliere meloni dentro una serra. Ma colpisce la lettura tendenziosa che traspare dalla titolazione. Innanzitutto quel “muore italiano”: come a dire che è quella la cosa particolare, perché se ad essere schiantato dal caldo fosse stato uno straniero non ci sarebbe stata notizia. Eppure l’articolo ricorda che quello di Giugliano (Napoli) “è l’ennesimo capitolo della lunga scia di morte che ha colpito i campi nel corso di questa estate”: un siriano a Cascina (Pisa), un rumeno a Serracapriola (Foggia), prima ancora un altro rumeno a Spinasanta (Caltanissetta). Tre stranieri, guarda caso.
A leggere questa sequenza verrebbe da pensare che questi immigrati meritino un po’ di solidarietà. E invece no: pure da morti si ritrovano nello scomodo ruolo dei colpevoli, perché se il bracciante italiano è stato ucciso dalla fatica, se nei campi ci sono lavoro nero e paghe da fame, ciò è “il frutto dell’invasione di stranieri”. Chi legge un titolo del genere è indotto a guardare ai braccianti neri non come a vittime dello sfruttamento, meritevoli di essere sottratti alla schiavitù quanto i loro colleghi italiani, ma come a fattori di disturbo, che hanno incrinato il mondo giusto e rispettoso dei diritti nel quale si doveva vivere (secondo questa leggenda) prima che cominciasse l’“invasione”. Da qui a guardare i migranti con odio il passo è breve. Ed è su di loro che va concentrata l’attenzione e l’ostilità, più che sui criminali che sfruttano italiani e stranieri senza far distinzioni di passaporto.
Sia dunque il benvenuto, se arriverà, un atteggiamento non più incendiario delle istituzioni. Ma senza dimenticare che ad appiccare il fuoco possiamo contribuire – irresponsabilmente, non inconsapevolmente – anche noi dei media.
Roberto Natale, coordinatore Comitato tecnico-scientifico Articolo 21