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Mafia, appello alla Regione Siciliana per riaprire la Casa museo Livatino

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Le associazioni che promuovono la memoria di Rosario Livatino, il magistrato di Canicattì ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, chiedono al governo regionale di acquisire la casa per farne un museo. L’appello è stato lanciato da Tecnopolis e dagli Amici del Giudice Rosario Angelo Livatino all’indomani della decisione del governo regionale di espropriare a Cinisi il casolare in cui Giovanni Impastato fu torturato e ucciso il 9 maggio del 1978. Lì nascerà un museo multimediale e uno spazio per dibattiti e spettacoli: una scelta che ha riscosso l’ applauso ieri del Centro Impastato.

Anche le tre stanze della casa museo di Canicattì rimaste identiche a come Rosario Livatino le lasciò la mattina del 21 settembre del 1990, prima di essere assassinato sulla strada che lo portava al tribunale di Agrigento, potrebbero essere meta di visitatori che cercano di conoscere meglio il giudice ucciso dalla mafia. E invece sono chiuse al pubblico da quattro anni.
Da tempo le associazioni Tecnopolis e Amici del giudice Livatino lavorano per riaprire al pubblico la Casa museo Livatino. Ma senza successo.Ora l’appello lanciato dalle pagine del Giornale di Sicilia. L’abitazione del giudice, in viale Regina Margherita 166 a Canicattì, è stata ereditata alla morte del padre di Livatino dalla signora che lo ha assistito. E malgrado nei primi anni siano state autorizzate le visite, da 4 anni la nuova proprietaria ha chiuso le porte ai visitatori. Nel frattempo però, nel 2015, la Regione ha imposto il vincolo di interesse culturale (come era accaduto anche al casolare di Cinisi) e questo può essere il presupposto per un eventuale esproprio. Non a caso la nuova proprietaria si è opposta: il Tar ha rigettato il ricorso e il Cga si pronuncerà entro fine anno.
Polemiche a parte, resta l’ opportunità non colta di una casa che anche per l’ assessorato ai Beni Culturali mantiene intatto lo spirito che ha contraddistinto Livatino: «La dimora, con i suoi ricordi, scritti autografi, foto ed effetti personali, preservata nella sua immobile integrità dai genitori, custodi ed artefici degli insegnamenti che costituiscono i capisaldi della figura umana ed istituzionale dell’ uomo Livatino, rappresenta la memoria storica su cui incentrare l’ azione di sensibilizzazione». È una costruzione ottocentesca. E all’ interno il papà e la mamma del giudice ucciso decisero di non cambiare nulla, quasi bloccando il tempo dopo quei colpi di pistola sulla statale Agrigento -Caltanissetta.
Le associazioni hanno anche avviato una petizione perché la casa diventi pubblica consegnata tre anni fa al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E c’ è stata pure una richiesta di acquistare l’ immobile a cui però la proprietaria non ha neppure risposto. Anche il sindaco di Canicattì, Ettore Di Ventura, ha offerto l’ aiuto del Comune. Ma ora la speranza delle associazioni è che la Regione si muova e riapra le porte di quelle tre stanze ricche di ricordi.

Per Rosario Livatino, inoltre, è in corso il processo di beatificazione in Vaticano. Secondo il postulatore, don Giuseppe Livatino  «il ritratto che viene fuori dall’ascolto dei testimoni e dalla lettura delle sue agende è un ritratto quasi a tutto tondo. Non amava parlare di sé Rosario, ma non amava neanche far parlare di sé quindi, per noi, il lavoro è stato abbastanza complesso. Molti dei testimoni poi avevano già lasciato la magistratura ed altri, purtroppo non erano in condizione di poter dare il loro contributo. Però, nel corso del processo, è emersa la figura di Rosario. Quella di un magistrato integerrimo, cultore determinato del segreto istruttorio, che aveva molto rispetto per l’umanità e la dignità non solo di chi collaborava con lui ma anche nei confronti degli imputati». Dal racconto del postulatore viene fuori la figura di un uomo a tutto tondo con le paure di un giovane dei suoi tempi che riesce a vincerle attraverso la sua profonda fede. «In tutta la sua vita – ha proseguito don Livatino – Rosario non conosce mai la parola “rinuncia” o “sacrificio” ma sempre quella di “scelta”. Compiuta la scelta questa doveva essere finalizzata al fare il bene degli altri». 


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