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La sua ultima intervista sulla mafia

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di Anna Pomar

quadro Caruso copia OK

Un ritratto di Cesare Terranova con alle sue spalle il boss Luciano Liggio firmato dal pittore Bruno Caruso

 Cesare Terranova, magistrato di Corte  d’Appello, già procuratore capo a Marsala, già deputato al Parlamento italiano come indipendente nelle liste del Pci, componente della commissione antimafia, dopo sette anni di lontananza dalla vita giudiziaria torna a presiedere la seconda sezione della Corte d’Appello di Palermo. A lui, come è noto, si deve la paternità di alcuni fra i piu grossi processi di mafia degli anni che vanno fra il ’63 e il ’68.
Ma la mafia in questi ultimi anni ha cambiato obiettivi, ha cambiato metodi, ha cambiato struttura. Di questo vorremmo parlare col presidente Terranova, considerato uno fra i mag­giori esperti del problema mafioso, in occasione del suo rientro nelle aule del Palazzo di Giustizia.
Presidente Terranova, che ne pensa lei di questa nuova, vio­lenta esplosione  di criminalità  mafiosa?
«L’accentuarsi di certe forme di criminalità mafiosa rientra in un problema piu generale della diffusione  della criminalità in tutta Italia. Qui la mafia, altrove i sequestri, rapine o altro. Purtroppo questo è un dato della società del benessere, del consumismo che come ogni cosa presenta i suoi aspetti positi­ vi e quelli negativi. In una società socialmente ed economica­mente evoluta (lo possiamo constatare in America, in Inghil­terra cosi come in Svezia) la criminalità ingigantisce».
Si parla oggi di nuova mafia. Che cosa è la nuova mafia, in cosa si differenzia dall’antica?
«Anche  nel ’63 si parlava  di nuova mafia.  Ma la mafia è una, ed  è sempre  la stessa.  Come fenomeno   delinquenziale, come costume, non  muta.  Quello  che  cambia sono i metodi, l’inserimento  in una  certa  realtà  sociale ed  economica.  Po­tremmo dire che si muove secondo  le esigenze  del momento. Una volta avevamo la mafia rurale. Nel dopoguerra vediamo la mafia fare il suo ingresso nel mondo politico, e nel mondo degli affari. Poi abbiamo la mafia dell’edilizia, quando comin­cia a prendere consistenza il fenomeno dell’urbanizzazione. Un tempo la mafia delle campagne controllava la città (Cascio Ferro era solo il capomafia di Bisacquino ma esercitava la sua influenza su Palermo) in seguito quella della città si rivolgeva all’entroterra».
Quale connotazione  darebbe alla  mafia cosiddetta
«nuova» ?
«È difficile dirlo. Come ho già detto, la mafia è allineata con i tempi. Furti, scippi, rapine prosperano nei rioni cittadini sotto l’ala del capo mafia locale. E chi non sta alle regole pa­ga, come si è visto piu volte, in occasione di spietate esecuzio­ni di giovani pregiudicati. Ma la piu grossa connotazione che io darei alla mafia di oggi è quella degli appalti. L’appalto del­ le opere pubbliche – e non tanto l’appalto vero e proprio ma tutto quanto c’è dietro: forniture, cottimi, guardiani – è cer­tamente, al momento, l’argomento piu interessante. Destinato a svilupparsi ancora di piu negli anni futuri».
Ma la droga, non è anch’essa in espansione?
« La droga intanto non è un fatto di tutti. È limitata a grup­pi molto elevati ed altamente specializzati. Il traffico della droga comunque non è un fatto nuovo per  la mafia siciliana, che lo ha sempre controllato. Dall’America si fidavano solo dei mafiosi siciliani, delle organizzazioni mafiose siciliane che provvedevano allo smistamento della droga che giungeva nella Francia del sud e, in Spagna, verso gli Stati Uniti. Quello che c’è di nuovo è il consumo locale della droga, una volta qui da noi ignorato. Ma io credo che in questo campo, al momento, esistano pochissime  conoscenze».
Quali sono gli elementi nuovi del costume mafioso?
«L’impiego dei killer, per esempio.  Una volta le esecuzioni erano opera dei gregari. Ricordo, ad esempio, ai primi del ’63 la sparatoria alla pescheria di via Empedocle Restivo. Il killer era certamente noto. Fu quasi riconosciuto. E precedentemen­te negli anni  ’50, Eugenio  Ricciardi fu ucciso  da Angelo La Barbera  e Gaetano Calatolo,  meglio  noto  come  Tano Alati, che erano allora solo dei giovani gregari. Di li poi ebbe inizio la loro ascesa».
E il loro declino da quale data?
«Fra il ’63 e il ’68 si verifica una interruzione del fenomeno mafioso in Sicilia. Forse perché i grossi processi che si celebra­no in quegli anni portano inevitabilmente alla eliminazione dei personaggi piu noti, quasi tutti arrestati o latitanti. Una interruzione che si conclude però a Catanzaro, con le assolu­ ioni a tutti note. Da quel momento si verifica  una specie di movimento  tettonico, come  quello dei terremoti, direi,  di as­sestamento.
I vecchi quadri dirigenti tentano il ripristino della loro autorità, ma non hanno piu la forza di un tempo, e non riescono quindi a tenere sotto controllo la situazione. Ai primi del ’70 la vecchia guardia o è stata eliminata o è messa da par­ te.
L’elenco degli uccisi si allunga: Michele Cavatajo (viale La­zio), La Barbera, Sirchia, Di Martino (luogotenente di Torret­ta), Cancelliere, Matranga (ucciso a Milano). Nicoletti, dopo un attentato nel quale resta ferito,  esce di scena.  Si verifica cosi un  totale  sconvolgimento degli equilibri.
L’edilizia, fra l’altro, non è piu un settore portante. Si delinea il miraggio de­gli  appalti delle  opere  pubbliche.  E  qui puntano  le  nuove leve».
Presidente Terranova che ne pensa della «lupara bianca »? Una volta la mafia uccideva. Perché oggi sequestra senza dare pili notizie degli scomparsi?
«Anche nel passato esisteva la lupara bianca. Ma era indub­ biamente un fenomeno  limitato. Ricordo,  ad  esempio,  intor­no al ’54 ’55, la scomparsa dei fratelli Prester. I Prester erano nomi ben noti a Palermo.  Una mattina partirono  in macchina per  Messina dove c’era un processo a loro carico, ma non vi giunsero mai. Non se ne seppe piu nulla, mai. Fu il primo caso che fece molta impressione. In seguito scomparvero altri: Pelleri­to, Mansueto, Marino, quest’ultimo davanti al Palazzo di Giu­stizia. Aveva parlato con l’avvocato  Pugliese, poi salì in una macchina dove l’attendevano due persone e si perdettero  per sempre le sue tracce. Ricordo che sparirono anche dei perso­naggi del corleonese, Governale, Trombadori, Listi … Ma non erano certo tanti, come oggi. Perché  la lupara bianca? Certo una esecuzione è molto piu  semplice e piu immediata. Me lo sono chiesto tante volte anch’io. Spero di potere approfondire il problema ».
Presidente, vorrei farle osservare che i killer non corrono molti pericoli. Uccidere, i fatti lo hanno dimostrato, finora non è stato piu rischioso di quanto non lo sia fare sparire un cadavere.
«In effetti è cosi».
Presidente, perché tanti delitti impuniti?
« Ci sono pochi informatori, la gente non collabora alle in­dagini. E la polizia oggi ha pochi poteri, non riesce piu a otte­ nere quello che otteneva una volta».
Perché tante assoluzioni?
« Troppi rinvii a giudizio. Ma d’altro canto se ci sono dubbi sulla colpevolezza o sull’innocenza il magistrato deve per for­za rinviare a giudizio perché decida il tribunale. A tutto ciò si potrebbe ovviare solo con la auspicata riforma. L’istruzione, a mio parere, dovrebbe essere solo formale e il processo poi far­ si nel corso del dibattimento. Perché oggi si verifica l’assurdo che si fanno due processi veri e propri. L’istruzione dovrebbe invece essere solo la preparazione degli elementi pro e contro, da sottoporre al tribunale».
Un’ultima domanda, presidente. Si riuscirà mai a debellare il fenomeno mafioso in Sicilia? Lei è stato componente dell’Antimafia, ma i risultati della commissione non hanno soddisfatto l’opinione pubblica. E stato tutto inutile?
«L’antimafia ha concluso il suo mandato presentando una serie articolata di proposte che riguardavano il settore giudi­ziario, il settore economico (mercati, licenze ecc.), il settore amministrativo (appalti, concessioni). Ma queste proposte an­davano poi sviluppate. Ed invece dal gennaio 1976, sono ri­maste inutilizzate. Le forze politiche non hanno creduto di do­versene servire. Il materiale c’è, è ricco ed interessante. Perio­dicamente ne vengono pubblicati volumi.  Ma  tutto  finisce qui. Fino  a quando non verrà  qualche studioso  inglese che «scoprirà» le conclusioni dell’antimafia e le utilizzerà per i suoi lavori».
Nessun  ottimismo  allora per  il futuro?
«lo sono ottimista per temperamento. M a purtroppo c’è da constatare che il parlamento italiano non funziona più. Esi­stono solo le segreterie dei partiti. Non è facile tuttavia dare inizio ad un rinnovamento degli organismi democratici. Non è facile ed è pericoloso pensare di toccare la Costituzione nei suoi punti più  delicati».


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