CAMPOLONGO MAGGIORE ( VENEZIA) – «Il rischio maggiore è offrire il Veneto alla mafia come una vergine disarmata». Efficace e nel contempo feroce la metafora che il professor Nando Dalla Chiesa utilizza quando gli si chiede cosa pensi della nostra regione dal suo punto di vista, ovvero del Cross, l’Osservatorio sulla criminalità organizzata che ha contribuito a fondare e che dirige all’Università di Milano dove insegna Sociologia della criminalità organizzata. Parla in modo pacato, non vuole convincere nessuno, bensì invita allo studio, alla ricerca, all’analisi con metodo scientifico, di quanto accade attorno, a partire dai cambiamenti quasi “morfologici” del territorio: grandi opere pubbliche che non servono, moltiplicarsi di rotonde anche dove non c’è un flusso di traffico tale da giustificarle, costruzione di capannoni enormi che rimangono vuoti, inutilizzati.
NELLA EX VILLA DI MANIERO
E’ la sua prima volta a Campolongo Maggiore, comune veneziano della Riviera suo malgrado famoso perché ha dato i natali a Felice Maniero, boss di quella Mala del Brenta considerata l’esempio primigenio di mafia autoctona. Ed è nella ex villa di Felix, bene confiscato e diventato una sorta di tempio della cultura della legalità, che il docente ha inaugurato la Summer school antimafia patrocinata da Regione Veneto e Comune, terza iniziativa del genere in Italia, sul modello dell’esperienza già rodata di Milano e Roma.
Due giorni di lezioni, l’8 e il 9 luglio scorsi, riservati in particolare agli studenti delle superiori ma aperti a tutti, che si svolgono nel salotto dove la padrona di casa era Lucia Carrain, oggi 89enne, depositaria dei segreti e guida fidata dell’adorato figlio.
Si guarda intorno. La presenza di tante ragazze e ragazzi, dai 17 ai vent’anni, qualcuno anche più giovane rincuora e rasserena. Soprattutto il loro interesse sincero per una “materia” che in classe viene di rado affrontata e che i libri di testo liquida in mezza pagina.
«La Mala del Brenta è stato un segnale d’allarme. Che alla fine fu riconosciuto, valutandone la portata e la gravità. Ha dimostrato la facilità con cui in Italia nascono nuove forme di criminalità organizzata, quasi uscissero dalle viscere della terra, vedi il Lazio. Quello che voglio dire è che la Mala del Brenta si è rivelato un caso anticipatore di una possibilità, e oggi a distanza di poco più di vent’anni siamo pieni di queste possibilità: la mafia cinese, la mafia nigeriana, i gruppi rom che evolvono».
PRESENZA
E oggi il rapporto del Veneto con la mafia come va spiegato? Le recenti indagini della Dda di Venezia hanno scoperchiato una realtà di radicamento effettivo, portando per la prima volta al commissariamento di un Comune, Eraclea, a seguito dell’arresto del sindaco con l’accusa di voto di scambio mafioso. Camorra nel sandonatese, ‘ndrangheta fra Venezia, Padova e Verona.
«In Veneto c’è una presenza antica di Cosa nostra legata in particolare ai soggiornanti obbligati. Quindi c’è stata una presenza mordi e fuggi della camorra per saggiare la permeabilità del territorio e gettare le basi per la conquista. E poi c’è la ‘ndrangheta che vanta un’esperienza di oltre 50 anni di trasferimento al Nord. C’è chi dice che tra camorra e ‘ndrangheta ci sia una sorta di patto di non belligeranza, le cosche calabresi più nel veronese, sul lago di Garda, i campani più in là. Ma è solo un’ipotesi di scuola non suffragata da riscontri oggettivi. Come Cosa nostra in città a Milano e la ‘ndrangheta nella provincia: le inchieste e le ricerche hanno restituito una foto ben diversa».
CONSAPEVOLEZZA
«Dire che la mafia c’è – precisa Dalla Chiesa – non significa criminalizzare una regione. E’ il punto di partenza fondamentale per combatterla. Ma si badi bene. In guerra si va preparati, analizzando a fondo il nemico alla stregua di una valido stratega. Non c’è posto per i dilettanti o peggio per chi millanta conoscenza che altro non è che un elenco di luoghi comuni e che magari viene chiamato per formare studenti, giornalisti, amministratori. La mafia occorre studiarla in maniera seria: storia, evoluzione, tratti caratteristici, interessi economici, intrecci. Non dimenticando mai che l’identità rimane uguale nel cambiamento, allo stesso modo della personalità dell’individuo. La mafia fin dalla sua costituzione, come aveva già descritto nel 1876 l’economista Leopoldo Franchetti, è terra e fuoco. Il latifondo, poi i prg delle città, il movimento terra, lo smaltimento dei rifiuti, i lavori pubblici. E gli incendi, o ti corrompo o ti brucio la pizzeria così non arrivo a ucciderti. Altro che alta finanza o investimenti in borsa: per fare questo – afferma con una nota volutamente polemica – non serve colonizzare i paesi».
ANTICORPI
La mafia dei colletti bianchi, dei professionisti, non esiste allora?
«Intendo dire che la mafia mira al controllo, al possesso del territorio e di chi lo abita, ne cambia la fibra civile, il modo di pensare e quando arriva a questo stadio abbiamo superato la colonizzazione e siamo alla civilizzazione mafiosa».
Il Veneto a che stadio è?
«Non siamo ancora alla colonizzazione ma 15 anni fa non c’era l’Emilia e non c’era nemmeno la Lombardia. Ciò non significa che non può accadere. La strada la trova spianata se il problema viene cancellato. La dannazione della Lombardia è stata la rimozione: se la mafia non c’è allora non la combatto, se la vedo e la riconosco allora la contrasto. La società che rimuove ha un basso grado di coesione».
Le indagini più recenti di carabinieri, polizia e guardia di finanza confermano una sorta di politica espansionistica della ‘ndrangheta nella nostra regione.
«Mi limito a rimarcare che la ‘ndrangheta è in assoluto in Europa la mafia più potente e con la maggiore vocazione a conquistare il territorio. Serve massima attenzione e determinazione per contrastarla. Non sapere equivale a fare gli interessi della mafia. Gli anticorpi? Non si evocano, bensì si dimostrano».